DOSSIER // AUDIZIONE COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUI RIFIUTI

24 Nov, 2014

Audizione commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlate

 

Le connessioni tra politiche ambientali ed illegalità nel campo dei rifiuti sono evidenti: la discarica come destinazione di smaltimento, una lunga filiera del trattamento con l’esistenza di più intermediari, una connessione opaca tra pubblica amministrazione e gestione sono tutti dispositivi gestionali che favoriscono il protagonismo della criminalità ambientale. Quando parliamo di criminalità ambientale in Veneto non parliamo necessariamente di criminalità organizzata, ma di un «giro» relativamente noto di trafficanti ed imprenditori da anni sulla scena, che hanno potuto anche, occasionalmente valersi dei «servizi» della criminalità organizzata, ma, da quanto si evince per ora, hanno potuto operare con una certa autonomia[1].

Secondo lo studio condotto dall’istituto di ricerca Transcrime su «Gli investimenti delle mafie», pubblicato nel gennaio del 2013, il mercato illegale dei rifiuti speciali vede il Veneto al primo posto in Italia con un fatturato di 149 milioni di euro. Negli anni sono cambiate le rotte dei rifiuti e le modalità operative, sempre più caratterizzate da processi di compenetrazione e ibridazione tra circuiti leciti e illeciti[2]. È importante focalizzare l’attenzione sui processi di trasformazione della geografia e dell’uso del territorio nelle sue differenti declinazioni e ancora più rilevante è tenere presente il ruolo delle istituzioni pubbliche nella gestione e regolazione del territorio.

Diventa necessario chiamare in causa le responsabilità di una vasta schiera di imprenditori, professionisti, tecnici e funzionari: quella area grigia in cui prendono concretamente forma comportamenti opportunistici e accordi collusivi di vario tipo.  È in questa area che troviamo i veri punti di forza e le ragioni del successo delle ecomafie, divenute un attore di primo piano, almeno al sud, nella stessa governance degli assetti territoriali. Una nuova fisionomia dell’illecito come viene testimoniato da diversi investigatori: «Grazie al fatto che i controlli hanno cominciato a essere più frequenti, le varie organizzazioni si sono specializzate. La documentazione è sempre perfetta e così le analisi che accompagnano i rifiuti. Negli anni Novanta ci si trovava di fronte a dei veri e propri smaltimenti abusivi tout court, partivano per andare al Sud con carte raffazzonate e lo stato d’illegalità era evidente. Oggi quelli che gestiscono il traffico hanno tutto un sistema di uffici, di laboratori e di gestione amministrativa dei rifiuti che fa sì che un rifiuto, anche se irregolare, sulla carta risulti regolare».

 

Un salto di qualità che si accompagna alla crescente fragilizzazione degli enti locali: l’espandersi dell’illegalità ha ovvie relazioni con la crisi della politica locale. Questa debolezza comporta una fragilità del comune nel relazionarsi autorevolmente con gli interessi privati, perché interessi privati sanno della debolezza del comune ed hanno perciò un potere contrattuale molto forte. «Esternalizzando porzioni crescenti delle utilities e delegando importanti funzioni pubbliche ai privati coinvolti in aziende a «capitale misto», gli enti locali rischiano sempre più di mostrare il fianco alla criminalità organizzata di tipo ecomafioso»[3]. Questa analisi fa riferimento ad altre aree d’Italia, ma se teniamo presenti i gruppi d’affari la cui fisionomia sta prendendo forma dalle recenti inchieste possiamo tranquillamente leggere la seguente analisi pensando al Veneto: «recenti studi nel campo delle scienze sociali hanno avviato un percorso analitico finalizzato alla normalizzazione dell’attore mafioso nella governance del territorio, considerato come uno stakeholder (più o meno occulto) della politica ambientale. In quest’ottica, la «regolazione ecomafiosa» del territorio si dipana a stretto contatto con i gruppi criminali, ma resta inevitabilmente associata alla strutturazione di policy network qualitativamente diversificati: è in questi termini che le mafie possono ritenersi attori tra altri, vincolati – o abilitati – da meccanismi di coordinamento tra portatori di interesse e gruppi sociali della società locale»[4].

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2014-11-20 Audizione commissione parlamentare sui rifiuti


[1]G. Belloni, Camorra e criminalità ambientale in Veneto, in in Meridiana 73-74/2012
[2]L’Osservatorio ha monitorato i flussi in uscita, relativi al 2011, dei rifiuti industriali dalla Provincia di Venezia. In particolare abbiamo preso in esame, per una prima delimitazione della ricerca, le ditte che producono più di 500 tonnellate annue di rifiuti.Da questo monitoraggio abbiamo desunto qualche informazione utile:- la quantità di rifiuti che prende la strada verso il sud è quasi trascurabile.- la maggior parte dei rifiuti ha come destinazione altre regioni centro-settentrionali come Lombardia, Emilia Romagna o Toscana.- una quota non particolarmente rilevante viene esportata (Germania, Ungheria, Pakistan).Per osservare una correlazione quantitativa possiamo dire che 10mila tonnellate vanno in Germania e 100mila in Lombardia. Questo non significa che la destinazione finale dei rifiuti non possa essere oltre frontiera. E’ probabile che gli impianti presenti in Lombardia e Emilia Romagna siano di proprietà di aziende dotate delle necessarie autorizzazioni e in grado di movimentare rifiuti all’estero. Come ci ha confidato un inquirente: «a nostro giudizio la rotta prevalente oggi è Nord-Nord, i rifiuti industriali vanno all’estero, in Germania, Austria, Danimarca. Parliamo di un traffico che ha tutte le carte, notifiche e contratti, ufficialmente in regola, che segue le procedure della normativa. Un confine che fa da schermo ovviamente facilita il traffico illegale e rende più difficile il controllo e l’eventuale repressione. Prima potevi fare una telefonata al collega di Napoli e dire: “segui quel camion”, ora non è più possibile, se vi sia un’organizzazione e di che tipo dietro questi traffici transfrontalieri è presto per dirlo».
[3] V. Martone, A. De Feo, Crisi ambientale e modelli di regolazione: l’ambiente come questione di policy, in Culture della sostenibilità 13/2014
[4]Ivi