Ibridi: armi di distrazione di massa
Report 2017 sulle politiche di gestione del lupo in Veneto
Il 2017 si è aperto con il Tavolo Regionale sul lupo in cui l’assessore regionale Pan ribadiva la necessità di operare sulla gestione del problema e si chiude con la confusa vicenda della
“scoperta” che siamo invasi dagli ibridi.
In mezzo una serie di avvenimenti su cui occorre riflettere. Con una premessa. Nel corso del 2016 dieci aziende agricole erano state messe in sicurezza con 25 ettari recintati a
partire dal 17 agosto, due aziende ad agosto, sei a settembre, due a ottobre.
Se si pensa che l’alpeggio inizia a metà/fine maggio, è stato un intervento tardivo. Ma efficace. “Dopo l’installazione del recinto non si sono verificati ulteriori attacchi al bestiame
così protetto, anche in allevamenti che precedentemente erano stati oggetto di predazioni plurime” – così un documento WolfAlps Veneto distribuito al Tavolo della Lessinia il
23.02.2017.
Di puro buon senso avrebbe dovuto essere il programma per il 2017: incrementiamo dall’inizio dell’alpeggio il numero di recinzioni e verifichiamo gli effetti.
L’inerzia
Il Tavolo Regionale sui grandi carnivori si tiene il 20 aprile. Presentazione della situazione attuale, promessa di gestire il fenomeno, impegno a mantenere costante il rapporto fra
istituzione Regione e portatori di interesse.
Parte l’alpeggio, nessuna notizia di iniziative in atto: dove sono i tecnici che devono assistere gli allevatori nell’impianto dei recinti? Dove sono i recinti? Quali tentativi di introdurre i cani sono stati effettuati, sapendo bene che l’inserimento deve essere cauto e riflettuto? Non se ne sa nulla.
Report Wolfalps
Data maggio 2017 è pubblicata la Relazione Tecnica “Lo status del lupo in Veneto 2014-2016” in cui sono elencate con dovizia di dati le operazioni compiute per l’analisi genetica,
oltre alle osservazioni sul numero dei lupi. Vale la pena di ricordare questo rapporto perché ci saremmo risparmiati qualche mese dopo la superficialità dell’ipotesi “ibridi”, a buona
memoria di cercatori di ibridi e sindaci in vena di ordinanze.
La stasi
Il 22 giugno Legambiente Veneto, dopo aver chiesto senza ottenere risposta spiegazioni all’assessore Pan, dichiara alla stampa:
Un passo avanti e due indietro: sui lupi siamo sempre lì
Al di là delle rassicurazioni, la Regione Veneto non riesce a gestire il problema lupo. Due anni fa in Lessinia la piattaforma comune fra allevatori, Legambiente e cacciatori
chiedeva come primo punto indennizzi adeguati e tempestivi per affrontare la questione lupo con qualche garanzia per gli allevatori.
Seguirono richieste, incontri, iniziative per evitare i ritardi che fino allora avevano caratterizzato la cosa.
Oggi, nel 2017, ci troviamo ancora di fronte a inadempienze ingiustificabili.
Vari allevatori vittime di predazioni lamentano di non aver ricevuto ancora gli indennizzi del 2016.
In varie occasioni pubbliche l’assessore regionale Pan aveva rassicurato sull’accorciamento delle procedure. Questo doveva essere il primo passo verso un rapporto di maggior fiducia tra istituzioni e attori economici.
Dobbiamo riconoscere che la diffidenza che gli allevatori ancora oggi manifestano ha un reale fondamento.
Dobbiamo considerare inevitabile questa sfiducia che alimenta i rancori verso la politica con il conseguente successo di posizioni estreme inefficaci e roboanti proclami di politici locali privi di idee?
Legambiente ha sempre chiesto che la discussione fra le parti precedesse le scelte e questo avvenisse nella massima trasparenza. Purché si abbandonino da una parte gli slogan
inapplicabili (portatevi via i lupi) e dall’altra ci fosse il rispetto degli impegni assunti.
Le manifestazioni di buona volontà dell’assessore Pan rischiano di apparire “chiacchiere da politico” se gli uffici della Regione (quali? ci piacerebbe saperlo) disapplicano le indicazioni della direzione politica.
Si tratta di capire, poi, se sono gli uffici dei diversi assessorati che non si parlano oppure se le scelte politiche sono ambigue: da una parte si proclama la gestione del lupo, dall’altra si
ostacola la buona riuscita di questa gestione.
Sia come sia, appare chiara l’inefficienza della macchina regionale. Cosa accadrà adesso che il radicamento dei lupi è esteso in tutto il Veneto? Se a quel punto il bracconaggio sarà
l’arma di contenimento dei lupi, sapremo chi ha armato i fucili e le trappole.
Stesso discorso per le recinzioni che vengono montate al rallentatore.
Troppi tempi lunghi delle istituzioni a fronte dell’efficienza dei lupi. Chiediamo ai lupi di rallentare i loro ritmi biologici o forse è meglio che i burosauri si diano una mossa?
Le fanfaronate
A metà luglio Legambiente Veneto così commentava l’attività del Consiglio Regionale:
Pochi giorni fa veniva annunciato un piano di gestione del lupo, con il quale – a detta della Giunta – si dovrebbe risolvere il problema della presenza del lupo. Ennesimo annuncio di
una Regione che da quattro anni non viene a capo del problema, dimostrando la propria schizofrenia politica: da una parte aderisce al progetto WolfAlps, unica misura in atto sul
problema lupi, dall’altra giura di non volere i lupi.
Sconcerta che in questi giorni prima il Consiglio Regionale approvi una mozione ricca di inesattezze istituzionali e conoscitive, ma buone per ammansire gli anti-lupo (cosa c’entrano
i soldi dei Life con gli aiuti alle famiglie?) e per giustificare la richiesta di uscita dal progetto WolfAlps.
Poi, il 13 luglio, la Giunta annuncia che proseguirà con il progetto Wolfalps fino alla sua scadenza naturale di maggio del 2018 attraverso l’adozione delle misure ordinarie di prevenzione.
A queste misure definite “ordinarie” viene contrapposta l’azione “forte, di naturastraordinaria” che mira a catturare e traslocare i lupi. Sarà anche forte, nelle intenzioni della
Giunta, questa azione, ma sarebbe anche impotente contro la biologia del lupo, che, inevitabilmente si reinsedierebbe in un territorio che è favorevole per lui, o ancora peggio,
sarebbe oggetto di incursioni di lupi presenti in aree vicine.
Ancora più risibile la proposta di “carcere a vita” di alcuni lupi, inutile sul campo, perché le aree verrebbero ricolonizzate in breve tempo, pessima eticamente e costosissima per la
collettività (i lupi in cattività vivono anche oltre 15 anni, le risorse economiche necessarie a questa misura supererebbero di molto quelle per la prevenzione cosiddetta “ordinaria”).
Due azioni, la captivazione (ovvero detenzione) e traslocazione che mostrano ancora una volta come la Regione Veneto decide sulla base degli umori della piazza e non sa tradurre
in azioni istituzionali i risultati di studi e di esperienze che ormai abbondano anche in Italia, ma che Consiglio e Giunta Regionale non leggono.
Decisioni che ignorano anche le norme che regolano la presenza dei predatori in Europa e in Italia. Ulteriore esempio della sciatteria che connota le azioni della Regione Veneto. Come dimenticare la bocciatura che proprio il 13 luglio (mentre la Giunta annunciava il suo piano sul lupo) la Corte Costituzionale ha fatto della legge regionale 27 giugno 2016, n. 18, il cosiddetto ‘Collegato agricoltura, caccia e pesca’?
Le rassicurazioni e i tromboni
Il 28 luglio l’assessore Pan, invece di convocare il Tavolo – definito dal dirigente Comacchio il 20 aprile come “consultivo e informativo”-, dichiara alla stampa “gli incarichi per la
distribuzione dei recinti sono stati tutti assegnati e già da ieri [il 27 luglio, si badi] sono tutti sul campo”.
Resta nel vago l’assessore se si tratta di documentare quando e dove sono stati installati i primi recinti “Oltre ai 20 recinti già installati e funzionanti in Lessinia, dei 180 acquistati nel
2017”. Acquistati quando? Disponibili da quando? Installati dove? Vorremmo saperlo.
Negli stessi giorni c’è spazio per roboanti affermazioni: “Gli allevatori non sopportano più i capricci di quattro ambientalisti che hanno voluto reintrodurre il lupo nel luogo sbagliato,
spendendo una montagna di soldi pubblici con la complicità di certi politici compiacenti”. Parole frutto di un consigliere regionale capace anche di affermare: “Dall’inizio dell’anno è
scomparsa un’intera stalla di bestiame dalla Lessinia”.
La rigorosa capacità di documentazione di questo consigliere si scontra con i dati accessibili al pubblico dell’Anagrafe Nazionale Zootecnica dalla quale si ricava che a livello di AUSSL
9 il numero dei capi bovini aumenta con situazioni variabili fra i Comuni. Se Bosco Chiesanuova, Erbezzo e Roverè aumentano, S. Mauro, Selva di Progno e Velo Veronese
diminuiscono. Colpa dei lupi? No, perché la diminuzione dei capi tocca anche Comuni lontani dalla zona calda: Grezzana, Montecchia, S. Bonifacio, S. Giovanni Ilarione,
Tregnago. A ulteriore dimostrazione che la crisi della zootecnia è più complessa (ed estesa) del fattore lupo.
Sbugiardati
Inevitabile, ai primi di settembre, la bocciatura da parte del Ministero del piano di deroga per gli abbattimenti deciso dalla Regione il 13 luglio con la delibera 1080. Alti lamenti del solito consigliere regionale e minacce di cancellare lo status di specie prioritaria al lupo. Tronfie parole a fronte di continue bocciature. Capiranno?
La perla
Si giunge così alla strabiliante scoperta degli ibridi. “Ad eccezione di Slavc, lupo di ceppo dinarico-balcanico, non ci sarebbero altri lupi in libertà nel Veronese, ma ibridi figli di
Giulietta, la presunta lupa di ceppo italico che con il lupo balcanico forma coppia fissa in Lessinia”.
Pronta la risposta di Wolfalps “Il patrimonio genetico di Slavc era stato determinato già in Slovenia al momento della cattura e del posizionamento del radiocollare per ragioni di
ricerca. Quello di Giulietta come lupa appenninica è conosciuto grazie alle analisi condotte sia dall’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, sia dal
laboratorio di genetica statunitense National Genomics Centerfor Wildlife”.
In altri termini, si è voluto giocare al piccolo chimico con gli alleli della saliva campionata durante una (una!) predazione.
Pare scontato che bisogna avere una banca dati del genoma di lupo appenninico e di lupo balcanico per un sano e doveroso confronto.
Pare scontato ma, ovviamente, non lo è.
Infatti succede che il campione venga spedito all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e Toscana Allevatori che ha una corposa banca dati di lupo appenninico ma che non
ha alcuna banca dati del resto della popolazione di lupi europei. Così avviene che, correttamente, il referto dica chiaramente che la predazione è compatibile con un soggetto
che ha il 50% di genoma di lupo. E l’altro 50%? Il referto dice chiaramente che l’altro 50% non appartiene né alla banca dati di cane né di lupo appenninico appartenenti al laboratorio
in questione (com’era previsto!).
E allora? E allora non ci sono ibridi.
E ancora, sempre da L’Arena del 2 novembre 2017: “Ma ci sarebbero altri elementi a conferma di questo, secondo il presidente di Salvaguardia rurale veneta: Giulietta, tranne al
primo parto, ha sempre avuto cucciolate da 5 a 7 soggetti, ben superiori ai 2-4 che gli esperti attribuiscono alle lupe”.
La risposta la dà il libro “Il Lupo Biologia e gestione in Italia e in Europa” ed. Il Piviere 2014 di Francesca Marucco: “La cucciolata è composta in media da 3-4 animali… si verificano
anche cucciolate di ben 9 piccoli, come per il branco della Val Chisone nel 2010. Le cucciolate documentate sulle Alpi piemontesi nel periodo di agosto-settembre sono in media
di 3 piccoli fino ad un massimo di 7”.
La scienza e l’improvvisazione
Le “Linee guida per la gestione dell’ibridazione tra lupo e cane”, documento finale del progetto Ibriwolf(Documento tecnico. Progetto LIFE10NAT/IT/265 Ibriwolf) fin dalle prime
pagine si preoccupano di sottolineare la complessità del problema: “Una strategia ottimale per l’identificazione dei casi di introgressione si dovrebbe infatti basare sull’uso integrato e
concertato di strumenti genetici e fenotipici” (pag. 14), “Per verificare l’occorrenza e la natura (introgressiva o meno) dell’ibridazione, oltre a quantificare la diffusione degli ibridi nella popolazione parentale (direzionalita), è necessario rilevare lo status delle popolazioni di lupo e di cani mediante strategie di campionamento ben strutturate e stratificate (sia
geograficamente che temporalmente) (pag. 15),” E’ importante rimarcare che la complementarietà delle indagini a scale diverse e con differenti tecniche corrisponde ad una
diversa affidabilità (sia genetica che fenotipica) nel riconoscere individui potenzialmente ibridi. Di conseguenza occorre attuare, almeno in una fase iniziale, un campionamento su
ampia scala (idealmente nazionale), o quantomeno adeguata a rilevare il fenomeno atteso” (pag. 17).
Ma soprattutto quanto all’analisi genetica vengono illustrati i limiti:
-per il marcatore DNA mitocondriale “la sua trasmissione esclusiva per via materna ne limita il potere diagnostico”,
-per il marcatore cromosoma Y “anche questa analisi, come quella del DNA mitocondriale, da sola è insufficiente a rilevare l’ibridazione in caso di incrocio unidirezionale,
-per il marcatore Biparentali a livello dei geni nucleari “visto che il segnale genetico dell’ibridazione si “offusca” rapidamente dopo la prima generazione di incrocio, è necessario
analizzare un elevatissimo numero di loci polimorfici” (pag. 20).
Tanti dubbi per chi vuole conoscere sul serio il fenomeno.
La somma ordinanza
Nessun dubbio è venuto invece al sindaco di Bosco Chiesanuova e ai suoi consulenti.
Nemmeno il dubbio terra-terra, avvalorato in varie predazioni da osservazioni dirette, che le analisi possano essere inquinate dalla partecipazione di cani (successiva ai lupi) al prelievo
di carne sugli animali uccisi.
Ma sorge la domanda: perché l’ordinanza di somma urgenza? Per gli attacchi ai bovini? Arriva con tre anni di ritardo. Attacchi agli umani? Non se ne trova traccia da un secolo
almeno. Se le circostanze che giustificano la somma urgenza non consentono alcun indugio, come si concilia tale somma urgenza con l’indicazione di effettuare analisi in tempi
successivi e indeterminati? L’ordinanza rivela l’intenzione di appurare “la reale consistenza del fenomeno dell’ibridazione sopra citata”.
Svelata l’inconsistenza dell’affaire “ibridi”, non ritiene il sindaco di revocare l’ordinanza, prima che una spesa enorme ricada sugli abitanti di Bosco Chiesanuova? Ad essi, già da
adesso, chiediamo di pretendere comprovate spiegazioni per questo nuovo balzello ed eventualmente di non pagare le tasse comunali per la quota riguardante le analisi previste
dall’ordinanza.
E infine tutta questa attenzione non fondata scientificamente non può configurare l’ipotesi di procurato allarme per un pericolo che non è immediato ma si immagina possa verificarsi?
Distrarre dall’UNICO FATTO REALE DEL 2017
Ma sbaglieremmo a porre attenzione eccessiva sui supposti ibridi.
La fragilità della costruzione e la faciloneria con cui è stata sostenuta, fanno pensare ad una tesi precostituita: “dimostriamo che non sono lupi, così possiamo sparargli”, spostando
l’attenzione dall’oggettivo successo del 2017: lì dove sono stati impiantati correttamente i recinti non c’è stata nessuna predazione, e se ce n’è stata qualcuna, c’è da chiedersi: chi ha impiantato quelle reti? I tecnici incaricati? Oppure gli stessi allevatori cui sono state messe in mano le reti con l’obbligo di arrangiarsi? E se è stato questo il caso, un minimo di formazione-addestramento (roba di qualche ora) non sarebbe stato necessario?
Ma allora la domanda cruciale è: responsabilità dei funzionari dell’assessorato? Oppure una linea politica tesa a far fallire Wolfalps? Ed aprire, consapevolmente o no, la strada al
bracconaggio? Troppa improvvisazione (a quattro anni dall’inizio del progetto) per pensare a un caso: ritardi e sciatterie nell’affidamento dei recinti, superficialità nell’abboccare all’esca
“ibridi”, monitoraggi limitati fanno pensare a una convergenza di strategie fra politicanti che lucrano sulla paura del lupo e le istituzioni politiche regionali e locali.
LEGAMBIENTE VENETO
Verona, 24 novembre 2017