DOSSIER // AUDIZIONE COMMISSIONE PARLAMENTARE D’INCHIESTA SUI RIFIUTI
Audizione commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlate
Le connessioni tra politiche ambientali ed illegalità nel campo dei rifiuti sono evidenti: la discarica come destinazione di smaltimento, una lunga filiera del trattamento con l’esistenza di più intermediari, una connessione opaca tra pubblica amministrazione e gestione sono tutti dispositivi gestionali che favoriscono il protagonismo della criminalità ambientale. Quando parliamo di criminalità ambientale in Veneto non parliamo necessariamente di criminalità organizzata, ma di un «giro» relativamente noto di trafficanti ed imprenditori da anni sulla scena, che hanno potuto anche, occasionalmente valersi dei «servizi» della criminalità organizzata, ma, da quanto si evince per ora, hanno potuto operare con una certa autonomia[1].
Secondo lo studio condotto dall’istituto di ricerca Transcrime su «Gli investimenti delle mafie», pubblicato nel gennaio del 2013, il mercato illegale dei rifiuti speciali vede il Veneto al primo posto in Italia con un fatturato di 149 milioni di euro. Negli anni sono cambiate le rotte dei rifiuti e le modalità operative, sempre più caratterizzate da processi di compenetrazione e ibridazione tra circuiti leciti e illeciti[2]. È importante focalizzare l’attenzione sui processi di trasformazione della geografia e dell’uso del territorio nelle sue differenti declinazioni e ancora più rilevante è tenere presente il ruolo delle istituzioni pubbliche nella gestione e regolazione del territorio.
Diventa necessario chiamare in causa le responsabilità di una vasta schiera di imprenditori, professionisti, tecnici e funzionari: quella area grigia in cui prendono concretamente forma comportamenti opportunistici e accordi collusivi di vario tipo. È in questa area che troviamo i veri punti di forza e le ragioni del successo delle ecomafie, divenute un attore di primo piano, almeno al sud, nella stessa governance degli assetti territoriali. Una nuova fisionomia dell’illecito come viene testimoniato da diversi investigatori: «Grazie al fatto che i controlli hanno cominciato a essere più frequenti, le varie organizzazioni si sono specializzate. La documentazione è sempre perfetta e così le analisi che accompagnano i rifiuti. Negli anni Novanta ci si trovava di fronte a dei veri e propri smaltimenti abusivi tout court, partivano per andare al Sud con carte raffazzonate e lo stato d’illegalità era evidente. Oggi quelli che gestiscono il traffico hanno tutto un sistema di uffici, di laboratori e di gestione amministrativa dei rifiuti che fa sì che un rifiuto, anche se irregolare, sulla carta risulti regolare».
Un salto di qualità che si accompagna alla crescente fragilizzazione degli enti locali: l’espandersi dell’illegalità ha ovvie relazioni con la crisi della politica locale. Questa debolezza comporta una fragilità del comune nel relazionarsi autorevolmente con gli interessi privati, perché interessi privati sanno della debolezza del comune ed hanno perciò un potere contrattuale molto forte. «Esternalizzando porzioni crescenti delle utilities e delegando importanti funzioni pubbliche ai privati coinvolti in aziende a «capitale misto», gli enti locali rischiano sempre più di mostrare il fianco alla criminalità organizzata di tipo ecomafioso»[3]. Questa analisi fa riferimento ad altre aree d’Italia, ma se teniamo presenti i gruppi d’affari la cui fisionomia sta prendendo forma dalle recenti inchieste possiamo tranquillamente leggere la seguente analisi pensando al Veneto: «recenti studi nel campo delle scienze sociali hanno avviato un percorso analitico finalizzato alla normalizzazione dell’attore mafioso nella governance del territorio, considerato come uno stakeholder (più o meno occulto) della politica ambientale. In quest’ottica, la «regolazione ecomafiosa» del territorio si dipana a stretto contatto con i gruppi criminali, ma resta inevitabilmente associata alla strutturazione di policy network qualitativamente diversificati: è in questi termini che le mafie possono ritenersi attori tra altri, vincolati – o abilitati – da meccanismi di coordinamento tra portatori di interesse e gruppi sociali della società locale»[4].