Dossier:I valori del biologico
Le crisi che si susseguono sembrano portarci verso un’economia senza uomini, senza lavoro, e senza valori. L’economia senza valori non ha futuro.
Dare risposte non scontate alla crisi significa mettere i valori fondamentali della nostra vita al centro delle nostre scelte. Oggi, l’agricoltura biologica vuole rappresentare un’idea di società nella quale i valori del lavoro, del corretto scambio fra chi produce e chi consuma, del primato della sostenibilità ambientale sul profitto economico, dell’ investimento nelle fonti di energia rinnovabili e dell’indipendenza dal petrolio nonché dalle fonti fossili in generale, si affermino e guidino un rinascimento economico, culturale e sociale del nostro Paese.
A cura di:
Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica, Coldiretti, Legambiente
Premessa – Pag. 3
Capitolo Primo (a cura di AIAB) – Pag. 5
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Rapporti più equi nella filiera alimentare per una nuova relazione fra produttori e
acquirenti
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Boom dei canali di distribuzione alternativi per i prodotti bio. Un sistema “organizzato” proficuo
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per tutti, non solo per pochi
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Esperienze di commercializzazione di filiera corta gestite individualmente o in forma organizzata
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dai produttori italiani
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Quali politiche di supporto per questo modello?
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1.4 Nuovi modelli di distribuzione a livello regionale, nazionale ed europeo
Capitolo Secondo (a cura di Coldiretti) – Pag. 11
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Il valore del biologico
Premessa
2.1 “Oltre” il prezzo: verso un nuovo modello di consumo
2.2 L’andamento dei prezzi per le principali categorie di alimenti
2.3 Un nuovo canale di distribuzione dei prodotti bio: la vendita direttamente
2.4 I luoghi del bio e del nuovo consumo: la rete Campagna Amica
Capitolo Terzo (a cura di Legambiente) – Pag. 18
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Il valore ambientale dell’agricoltura biologica:
dalla lotta ai cambiamenti climaticI allo sviluppo dell’energia verde
3.1 Le emissioni di gas serra: il contributo dell’agricoltura
3.2 Il duplice ruolo del Biologico: mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatico
3.3 Agrienergie: una nuova frontiera anche per il biologico
Premessa
Le crisi che si susseguono sembrano portarci verso un’economia senza uomini, senza lavoro, e senza valori. L’economia senza valori non ha futuro.
Dare risposte non scontate alla crisi significa mettere i valori fondamentali della nostra vita al centro delle nostre scelte. Oggi, l’agricoltura biologica vuole rappresentare un’idea di società nella quale i valori del lavoro, del corretto scambio fra chi produce e chi consuma, del primato della sostenibilità ambientale sul profitto economico, dell’ investimento nelle fonti di energia rinnovabili e dell’indipendenza dal petrolio nonché dalle fonti fossili in generale, si affermino e guidino un rinascimento economico, culturale e sociale del nostro Paese.
Le imprese agricole biologiche hanno già vinto da tempo la sfida di produrre in modo più naturale senza l’uso di sostanze chimiche di sintesi e nel rispetto di elevati standard di benessere animale. Hanno vinto, anche ideologicamente, quella contro l’impiego delle sementi OGM. Oggi, vogliono promuovere i valori che ci permettono di affermare senza retorica né ipocrisia che il cibo non è una merce, che l’agricoltore è un attore centrale della nostra società, che lavora per contribuire all’innovazione, alla diffusione di una cultura dell’alimentazione di qualità, e alla tutela dell’ ambiente per la giustizia sociale.
Da qui nasce questo dossier sui valori del Biologico promosso da AIAB, Coldiretti e Legambiente in occasione delle dodicesima edizione della BioDomenica.
Il ruolo dell’agricoltura, ed in particolare dell’agricoltura biologica, è centrale nella nostra società perché è il settore che sa leggere meglio la nostra crisi e dare risposte concrete per il futuro, promuovendo un nuovo quadro di regole volte a riequilibrare le posizioni di forza fra chi produce e chi distribuisce, fra chi produce e chi fissa i prezzi, fra chi produce e chi impone dei pacchetti tecnologici fondati sul petrolio, sempre più insostenibili da un punto di vista economico, sociale ed ambientale.
Le esperienze che descriviamo ci raccontano di agricoltori che si sono organizzati per incontrare direttamente e senza intermediari i cittadini, che a loro volta cercano un consumo sempre più critico e responsabile. Oggi è possibile scegliere quello che vogliamo, mangiare e non rimanere passivi davanti ad uno scaffale di un supermercato, dove qualcun altro ha già deciso per noi cosa e quando dobbiamo mangiare. Il successo dei mercati degli agricoltori ne è la prova, tanto che persino la Disney ha deciso di dedicare un numero di Topolino a “Zio Paperone e la campagna che va in città” così che anche i simpatici protagonisti del fantastico mondo di Paperopoli preferiscono acquistare direttamente i prodotti dagli agricoltori piuttosto che nella Grande Distribuzione Organizzata.
Si sta verificando, quindi, una vera e propria rivoluzione culturale nelle abitudini dei consumatori e le imprese agricole biologiche sono tra gli attori protagonisti.
Ma è necessario anche che i cittadini-consumatori siano informati in modo trasparente in merito al processo di formazione dei prezzi dei prodotti agricoli, perché il consumo consapevole comprende anche questo aspetto oltre a quello importantissimo della conoscenza delle qualità e dell’origine degli alimenti. Il cibo, fino a poco tempo fa, è stato svalutato e non gli é stato dato più un valore reale, per cui è necessario accelerare il cambiamento culturale in atto rispetto al nostro rapporto con l’alimentazione, cambiamento dal quale dobbiamo partire per ricostruire anche un più equo processo di determinazione dei prezzi dei prodotti che acquistiamo.
Il prezzo è giusto solo se è il risultato di un processo di produzione nel quale si garantisce un reddito equo per l’agricoltore, si riduce il più possibile l’impatto ambientale e, sul piano sociale, si rispettano le norme sui diritti dei lavoratori, aspetto quest’ultimo importante vista la notevole presenza di lavoratori extra-comunitari in agricoltura.
Il prezzo giusto ed equo è quello derivante da un processo di produzione nel quale i costi ed i ricavi sono equamente ripartiti tra tutti i soggetti della filiera e nel quale si rispettano tutte le norme vigenti in materia di tutela ambientale, del lavoro e non si grava la collettività di costi impliciti a modelli di produzione non più sostenibili.
Allo stesso tempo, l’agricoltura è sempre più parte attiva nella lotta al cambiamento climatico e proprio il metodo biologico è il modello di produzione che meglio di altri può mitigare le emissioni e permettere ai terreni ed alle colture di adattarsi più efficacemente ai cambiamenti climatici stessi.
Infine, l’agricoltura biologica accetta la sfida più importante: produrre senza usare neanche il minimo aiuto del petrolio. È un lungo cammino che abbiamo intrapreso e le esperienze che qui riportiamo, dimostrano che non solo è possibile produrre senza petrolio, ma che il biologico si rivela una volta di più uno dei modelli maggiormente dotati di una spinta innovatrice nel contesto del sistema economico, fondato sul lavoro vero e sulla produzione di beni e servizi per il bene comune.
La nostra energia deve essere sostenuta da politiche reali. In questo senso, la riforma della Politica Agricola Comunitaria è un’occasione straordinaria che può realmente indirizzare verso questo modello il mondo agricolo.
Le nostre Organizzazioni sono impegnate in questa direzione e la BioDomenica sarà ancora una volta di più un’occasione per dimostrare che un altro mondo è possibile e che i nostri agricoltori ne sono gli interpreti più genuini.
Vittorio Cogliati Dezza, Presidente nazionale Legambiente
Andrea Ferrante, Presidente nazionale AIAB
Sergio Marini, Presidente nazionale Coldiretti
CAPITOLO PRIMO
Rapporti più equi nella filiera alimentare per una nuova relazione fra produttori e acquirenti
1. Boom dei canali di distribuzione ‘alternativi’ per i prodotti bio. Un sistema “organizzato” proficuo per tutti, non solo per pochi
I consumi di alimenti biologici in Italia rappresentano una quota che si aggira intorno all’1-2% sul totale della spesa alimentare, e dalle rilevazioni Ismea dei primi quattro mesi del 2011 è confermato il trend positivo registrato l’anno precedente (+11% nel 2010).
Al successo del biologico ha contribuito senza dubbio anche la nascita e il consolidarsi di canali di distribuzione di prodotti bio cosidetti “alternativi”. L’evoluzione del settore biologico italiano, che per molti versi si è sviluppato in contrapposizione al sistema della grande distribuzione organizzata (GDO), ha portato naturalmente all’istituzione di un sistema di distribuzione alternativo all’alienante modello di relazione distributore/consumatore proprio della GDO.
La vendita diretta e, soprattutto, i gruppi di acquisto sono in costante crescita, una tendenza confermata dai numeri che rivelano una progressiva inversione di rotta nelle abitudini di tanti, oggi potremo definire, attenti “fruitori di beni alimentari” e non più meri consumatori di merce alimentare.
Nelle varie tipologie di sistemi alternativi di distribuzione di prodotti biologici, i gruppi di acquisto solidale (GAS) si sono rivelati i più dinamici registrando, in trend evolutivo di sei anni (2005-2010), un incremento pari al 234%. Dalla 17a edizione dell’annuario del biologico Bio Bank risulta che i GAS sono passati nei soli ultimi tre anni da 479 gruppi, rilevati nel 2008, agli attuali 742 (+55%) non considerando quelli non ufficiali. È confermata anche la loro distribuzione geografica prevalentemente al nord, dove si trova il 60% dei gas italiani, a seguire il 28% al centro e circa il 12% dei GAS al sud e nelle isole.
Cresce anche, del 25%, la vendita diretta (spaccio) in azienda. Le realtà che nel 2008 avevano spaccio aziendale erano 1.943 e sono passate alle attuali 2.421; la crescita anche per questo canale, è pari al 102% se l’osservazione è retroattiva al 2005.
Lo stesso trend positivo si riscontra anche per il canale dei mercatini bio, che registra un incremento del 7% (2008/2010) e del 20% (dal 2005).
Alternativo ed in crescita è anche il canale virtuale dell’e-commerce, che segna un +38% (da 110 siti internet di prodotti bio a 152).
Rientrano a pieno titolo nei canali alternativi di distribuzione/consumo di prodotti bio anche quelli extra-domestici quali i ristoranti che valorizzano la cucina biologica e che da 199 sono passati a 246 locali, registrando un incremento del 24% (2008/2010) e di ben 44% in sei anni, escludendo l’agriturismo che invece in sei anni ha registrato un incremento pari al 62%. Anche le mense scolastiche, che nel loro capitolato prevedono prodotti biologici, segnano nell’ultimo triennio un incremento del 10% (da 791 a 872) e del 35% (dal 2005).
Questa panoramica sugli ultimi sei anni di consumi biologici italiani e sui canali alternativi di distribuzione dei prodotti bio dimostra che questi sistemi di distribuzione alternativi “organizzati” sono competitivi con i sistemi tradizionali – GDO innanzitutto – perché riescono a garantire la qualità del prodotto insieme a un ritorno economico, sociale e ambientale conveniente per tutti, e a lungo termine.
2. Esperienze di commercializzazione in filiera corta gestite individualmente o in forma organizzata dai produttori italiani
Introduzione
Il movimento del biologico è nato, ed è guidato, da agricoltori che volevano cambiare la loro relazione con i cittadini/consumatori, con una critica esplicita al modello di distribuzione che si andava affermando in cui vi era un completo distacco fra chi produceva e chi consumava. Questo indeboliva, se non azzerava, il ruolo del contadino che veniva sostituito da un prodotto senza connotazione alcuna, reperibile sul mitico mercato mondiale.
La convergenza tra il movimento del biologico e quello della sovranità alimentare diventa quindi naturale visto che il problema dei diritti dei consumatori di scegliere quello che vogliono mangiare in termini di qualità, sostenibilità ambientale e rispetto della tradizione alimentare (dieta mediterranea) è centrale ad entrambi i movimenti, come centrale è per gli agricoltori il diritto di scegliere il modello di produzione e distribuzione, che non può essere imposto ai contadini dalle multinazionali dell’agrochimica e dalla grande distribuzione organizzata. Rimettere i diritti al centro del modello di produzione biologica, determina immediatamente anche un nuovo modello di distribuzione del cibo che non può essere considerato soltanto una merce.
Le pratiche di sovranità alimentare in Italia sono tante e ben radicate e diverse sono anche le esperienze di commercializzazione in filiera corta. Partendo da queste esperienze si devono proporre politiche adatte alla promozione e al supporto di esperienze di questo tipo, individuando nella creazione di reti a livello locale e nazionale lo strumento principale per la diffusione di nuovi modelli di distribuzione.
Best practice
Nel corso degli ultimi 10 anni, in Italia, molti agricoltori, sia a livello individuale che in gruppo, hanno trovato diverse soluzioni per distribuire direttamente ai consumatori, gli alimenti biologici attraverso sistemi di filiera corta. Oggi è importante valorizzare e diffondere la conoscenza di tali esperienze, nate dalla necessità degli gli agricoltori di vendere prodotti biologici con un prezzo equo, per comprenderne il funzionamento e capire come è possibile creare sinergie tra le diverse realtà a livello regionale e nazionale. Di seguito, si riportano alcuni esempi delle esperienze più rappresentative in Italia:
Gruppi organizzati di domanda e offerta (GODO): L’idea base è creare un gruppo di produttori e consumatori, che promuovano un consumo responsabile basato sui prodotti territoriali, sulla vendita diretta e sulla stagionalità. I gruppi organizzati assicurano un prezzo giusto sia per i produttori che per i consumatori, considerandoli parte di uno stesso sistema. L’attività principale del gruppo è l’acquisto collettivo di prodotti biologici, ma anche l’organizzazione di degustazioni guidate, attività culturali, seminari e corsi di formazione sull’agricoltura biologica, attraverso i quali i partecipanti condividono obiettivi comuni e trovano nuove strade di collaborazione. (www.aiabumbria.com/it/godo)
Biodistretto del Cilento: Il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano è la realtà territoriale di riferimento per il BioDistretto del Cilento. Nel parco sono presenti 400 aziende biologiche, distribuite in 95 comuni in cui ricadono 3 siti di eccezionale interesse culturale come Paestum, Elea-Velia e Padula. Attraverso materiali informativi, educativi e promozionali, il BioDistretto del Cilento e i Comuni aderenti, insieme ad AIAB, promuovono le locali eccellenze territoriali (turismo, prodotti agricoli bio etc.). Il principale obiettivo del BioDistretto è concentrare l’offerta territoriale in un unico marchio comune e riavviare il mercato locale attraverso i mercati contadini e la ristorazione collettiva, sia pubblica che privata. Il maggior numero possibile di piccoli produttori è stato messo insieme per creare un paniere di prodotti diversificato e disponibile durante tutto l’anno. La promozione di questi prodotti anche presso i potenziali mercati nazionali ed esteri è un ruolo importante del BioDistretto. (www.biodistretto.it)
L’agricoltura bio-sociale e l’esperienza della cooperativa sociale Aretè: Fondata nel 1987 da movimenti di volontari coinvolti nella rieducazione dei carcerati a Bergamo, produce cibo biologico, offre servizi di integrazione socio-lavorativa a soggetti svantaggiati ed ha attivato una rete di distribuzione di prodotti bio insieme ad altri produttori locali. I prodotti vengono venduti sia nello spaccio della cooperativa, che negli altri canali distributivi locali, come le mense scolastiche. (www.aretecoop.it)
Mense scolastiche biologiche e ristorazione collettiva pubblica: Oggi i Comuni costituiscono i principali acquirenti di prodotti biologici per le mense scolastiche con oltre un milione di pasti bio erogati quotidianamente (oltre il 30% del totale). L’esperienza, in alcuni casi, della fornitura diretta da parte dei produttori locali di alimenti biologici a mense scolastiche, ospedali e ristoranti rappresenta una pratica interessante di sviluppo sostenibile. Questo modello promuove contemporaneamente la sana alimentazione e l’agricoltura locale, rispettando l’ambiente e la salute, la stagionalità, i mercati locali e il rapporto tra produttori e consumatori. L’agricoltura, la cucina locale e il gusto vengono riscoperti da tutti i cittadini attraverso questa esperienza. Nelle mense, inoltre, vengono sviluppati percorsi di formazione su ambiente, cibo e mercati locali rivolti a cuochi e famiglie.
Tra le realtà in cui la formula del biologico a mensa ha maggiormente consolidato le proprie potenzialità possiamo citare il caso di Roma. Nelle scuole pubbliche della Capitale vengono serviti ogni giorno 150mila pasti dal costo medio di 5,03 euro, per un fatturato annuo di € 137,808,000.00. Il successo del biologico nelle scuole della Capitale è così grande che il 70% di tutti i cibi serviti nelle mense scolastiche di Roma è biologico. E, sfatando il falso mito che vorrebbe il biologico come costoso per antonomasia, l’introduzione di cibi bio – e quindi buono sicuro, di qualità, locale e sostenibile -, ha incrementato il costo medio di un pasto solo dell’1,5%, ovvero di € 0,20, mentre il costo annuale dei prodotti biologici serviti agli studenti è di € 43,000,000.00 (dati AIAB-Albert,
Introduction of food from organic farming and local production in the school-meal service within the municipality of Rome, di P. Agostini, 2011).
La scarsa incidenza dell’introduzione di prodotti biologici nei menù sul costo medio dei pasti è confermata anche da unindagine realizzata da AIAB Liguria, in collaborazione con Liguria Biologica, nell’ambito del progetto PromoBioLiguria promosso dalla Regione e finanziato dal MIPAAF. Dall’indagine “Settimana bio in mensa” è infatti emerso che l’incidenza sul bilancio della refezione scolastica dell’introduzione di prodotti bio nei menù è marginale. L’uso (80%) di ingredienti bio, ove possibile locali, incide solo di alcuni centesimi sul prezzo finale del pasto (50% di ingredienti bio, costa in più solo 13 centesimi di euro a pasto).
Al di là dei casi riportati, quello della ristorazione collettiva per il biolgico è un canale di vendita molto importante e promettente. Sono infatti 5,5 milioni gli italiani che ogni giorno mangiano fuori casa nell’ambito del circuito della ristorazione collettiva pubblica, 2,4 milioni dei quali sono studenti, 200 mila degenti di ospedali, 450 mila tra esercito, polizie e forze dell’ordine. Un settore che muove un giro d’affari di 6 miliardi di euro l’anno. Considerando che il costo medio per la materia prima di ogni pasto erogato nelle mense è di 1,6 euro, il mercato delle mense solo per i produttori di cibo muove un giro d’affari di 8,8 milioni di euro al giorno.
Città dell’AltraEconomia (CAE). L’obiettivo principale di questo progetto era far tornare in uso per i romani uno spazio a lungo abbandonato. È il primo spazio in Europa ad essere dedicato alle pratiche economiche caratterizzate dall’uso di processi a basso impatto ambientale. Il progetto garantisce una redistribuzione adeguata tra i produttori, poiché non opera sulla base del profitto economico ma sulla solidarietà tra le persone e con l’ambiente. La CAE vuole stimolare il cambiamento, disseminare informazione ed educare in modo che questa economia alternativa possa diventare la base di una società alternativa. Il biologico è parte di un progetto più ampio, dove il commercio equo, il software libero, le energie alternative, il riciclo, il turismo sostenibile e la finanza etica sono contemporaneamente nello stesso luogo. Il negozio del biologico presente alla CAE, lo SpazioBio, è gestito direttamente dai produttori, vende prodotti provenienti dalle aziende biologiche locali, è un esempio di vendita diretta in consorzio ed è una delle attività principali della CAE. (www.cittadellaltraeconomia.org)
Piattaforme commerciali “Bio Sotto Casa” : Il “Bio Sotto Casa” è un progetto promozionale triennale promosso dall’UE e dal governo italiano per incrementare la conoscenza dei prodotti biologici attraverso attività di animazione diretta, che coinvolgono singoli consumatori, gruppi di acquisto, produttori etc. in Italia, Francia e Germania. AIAB ha coinvolto Coldiretti e AMAB in questo programma, grazie al quale sono state create tre piattaforme commerciali per i prodotti biologici italiani (nord, centro e sud) che arrivano direttamente dai produttori. La piattaforma lavora con la Francia e la Germania per una promozione diretta di prodotti biologici italiani nel mercato europeo. Questa esperienza rappresenta un approccio interessante al mercato internazionale dei prodotti biologici.
Questi sono solo alcuni esempi delle numerose esperienze che i produttori biologici italiani stanno sviluppando a diversa scala nel Paese e in Europa. Queste esperienze mettono le aspirazioni e le necessità di coloro che producono, distribuiscono e consumano cibo al centro del sistema di produzione e delle politiche alimentari, piuttosto che dare priorità alle richieste dei mercati e delle multinazionali.
Dall’altro lato, i cittadini organizzati nei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS) rappresentano una risposta originale ed organizzata del cittadino stanco dei modelli di alimentazione imposti dalla grande distribuzione, nonché un movimento politico e culturale di grande rilevanza che in alcune aree del Paese sta assumendo anche una peso economico assolutamente rilevante.
3. Quali politiche per supportare queste esperienze?
Esperienze come quelle sopra descritte, sono alla base di una politica di sviluppo che promuove la sostenibilità ambientale, sociale ed economica e sostiene il ruolo degli agricoltori nella produzione, distribuzione e consumo di cibo.
Basate su necessità individuali o azioni di gruppo, esse rappresentano casi significativi di buone pratiche. Ma è necessario andare oltre i singoli casi virtuosi per promuovere politiche che supportino questo tipo di esperienze come punto di partenza per un nuovo modello di distribuzione nell’agricoltura biologica. La maggioranza di produttori biologici ancora vendono i propri prodotti alla Grande Distribuzione Organizzata, che solo in alcuni casi è specializzata nella vendita di alimenti biologici. Il prezzo, dunque, aumenta ad ogni passaggio tra produttore e cittadino e il reddito degli agricoltori non è proporzionato al loro lavoro, né al loro contributo allo valorizzazione di beni comuni, quali la fertilità del suolo o la qualità delle acque.
Partendo dalle esperienze esistenti in Italia e in Europa, presentiamo alcuni esempi di politiche che possono essere applicate e sviluppate per la promozione di nuovi modelli di distribuzione per l’agricoltura biologica.
a. La PAC. La Politica Agricola Comune potrebbe, attraverso i fondi dedicati allo sviluppo rurale, dare un importante supporto alle iniziative locali basate sull’economia rurale. Sempre la PAC dovrebbe mettere in campo azioni specifiche per la promozione dei mercati e delle economie locali, promuovendo, tra l’atro, l’utilizzo dei seguenti strumenti: formazione, assistenza tecnica, promozione, sostegno all’aggregazione dei produttori. Tali misure combinate insieme tra loro nei Piani di Sviluppo Rurale regionali, sono dei volani importanti per avviare esperienze di promozione di canali di distribuzione alternativi rispetto alla Grande Distribuzione Organizzata.
b. Le norme fiscali e sanitarie sono spesso un ostacolo per i nuovi modelli di distribuzione. Specifiche leggi a livello regionale potrebbero contribuire alla semplificazione delle procedure, necessarie in caso di vendita diretta e di somministrazione dei prodotti in azienda. Molte esperienze di gruppi di acquisto solidali in Italia hanno già sviluppato interessanti proposte pratiche di possibili procedure (www.retegas.org).
c. Green public procurement (GPP). Un’altra importante opportunità sono le politiche degli Acquisti Verdi Pubblici (GPP) basate sull’idea di portare le tematiche ambientali all’interno delle istituzioni pubbliche e dei processi di fornitura di beni e servizi. Le politiche di GPP sono uno strumento potente che le autorità pubbliche possono usare per la promozione della distribuzione locale attraverso il consumo di prodotti biologici locali nelle mense pubbliche (scuole, ospedali, uffici pubblici etc. ).
d. A livello politico l’accesso alle terre pubbliche è un punto importante per la promozione di cooperative sociali di giovani che sviluppino le proprie idee progettuali. Anche se alcune volte non hanno esperienza in agricoltura, le cooperative sociali e i giovani ricoprono un ruolo fondamentale, per via della loro formazione sociale, nella comunicazione al consumatore dei valori e dei principi legati al prodotto biologico. Questi elementi, combinati con la produzione e la formazione agricola, sono alla base delle esperienze di distribuzione locale che hanno avuto maggior successo. Un esempio interessante in questo senso è quello di dare alle cooperative sociali accesso alle terre confiscate alla mafia. In Italia esiste una legge grazie alla quale molte cooperative, sia in Sicilia che in altre regioni, stanno già lavorando alla produzione di prodotti biologici su queste terre. Tali esperienze sono positive di sebbene siano siano inserite a livello nazionale in un mercato di nicchia. Tutto questo vive
e. BioDistretti. Le esperienze dei BioDistretti (4 per ora in Italia) rappresentano l’identificazione dell’agricoltura biologica come modello di sviluppo rurale da parte delle istituzioni locali, generando un processo virtuoso per la sostenibilità. Una rete di BioDistretti europei dovrebbe essere riconosciuta dall’UE come strumento di sviluppo locale.
f. La ricerca. Il ruolo della ricerca nello sviluppo di nuove politiche è centrale. Per questa ragione, nell’ambito dei Programma Quadro sulla ricerca, finanziati dall’UE, è importante inserire temi sullo studio delle esperienze esistenti al fine di individuare e promuovere nuovi modelli di distribuzione che contribuiscono allo sviluppo locale.
g. Programmi promozionali. Tali programmi sono fondamentali per aumentare il consumo di alimenti biologici e informare i cittadinipromozionali sulle caratteristiche di tale metodo di produzione. La conoscenza dei principi su cui si fonda l’agricoltura biologica è alla base della collaborazione tra produttori e consumatori nei nuovi modelli di distribuzione.
h. Certificazione. Altro tema rilevante, soprattutto per i modelli di distribuzione basati sulla vendita diretta è la certificazione. Modelli di certificazione alternativi rispetto a quello tradizionale potrebbero creare una scelta flessibile, adattabile ai singoli contesti (ad es. sistemi di garanzia partecipativa e certificazione di gruppo). La possibilità di scegliere il modello di certificazione può consentire la semplificazione delle procedure per le attività di distribuzione locale.
4. Nuovi modelli di distribuzione a livello regionale, nazionale ed europeo
In tutto il mondo, i cittadini stanno cercando di acquisire maggiore consapevolezza nell’acquisto degli alimenti. Da quando la crisi economica e le problematiche ambientali sono diventate al centro dell’attenzione della società il nostro sistema agroalimentare si è posto l’obiettivo di rispondere adeguatamente alle nuove esigenze dei consumatori. Glia agricoltori biologici insieme ai cittadini consumatori stanno affrontando tale contesto proponendo un nuovo modello alimentare.
Il recentissimo Forum Europeo di Nyéleni sulla sovranità alimentare, che ha visto la partecipazione di Organizzazioni rappresentative del settore agricolo, ambientalista, sociale ed economico provenienti da tutta Europa, ha individuato nella costruzione di modelli di distribuzione alternativi, supportati da norme semplificate per la trasformazione in azienda dei prodotti agricoli e per la vendita diretta, al fine di agevolare i piccoli produttori agricoli, la nuova strada da perseguire. Ciò costituisce uno degli strumenti principali di lavoro per il movimento europeo della sovranità alimentare.
E’ importante, quindi, creare una rete europea dei nuovi modelli di distribuzione. A livello regionale occorre istituire un database con le esperienze esistenti a livello europeo. La promozione di forme locali di aggregazione di produttori biologici (ad es. le organizzazioni professionali) possono essere il risultato di questo processo di promozione attraverso la creazione di reti basata sulla condivisione di esperienze che nascono da iniziative individuali e da progetti europei di formazione degli adulti. L’idea di viaggiare per visitare altre realtà imprenditoriali sperimentate in agricoltura biologica è alla base del processo di innovazione di tale settore.
L’organizzazione di una rete costruita su visite di scambio è un punto di partenza per la creazione di un database a livello europeo. L’esistenza di questi due elementi delineerà un nuovo sistema di distribuzione dei prodotti alimentari basato sui principi sopra descritti.
Gli agricoltori biologici stanno contribuendo, quindi, a promuovere un modello agroalimentare , che garantisca un giusto reddito al produttore agricolo oltrea favorire un consumo più consapevole degli alimenti. Senza dubbio questo è il nostro futuro, ma dobbiamo avere la capacità di lavorare meglio insieme.
Bibliografia:
P. Agostini (2011), Introduction of food from organic farming and local production in the school-meal service within the municipality of Rome
Brunori G. (2007), Local food and alternative food networks: a communication perspective
Colombo L. and Onorati A. (2009), Diritti al Cibo!, Jacka Book
Renting H, Marsden TK, Banks Jo (2003), Understanding alternative food networks: exploring the role of short food supply chains in rural development, “Environment and Planning”, volume 35, pages 393:41
CAPITOLO SECONDO
Il valore del Biologico
Premessa
La scelta di acquistare alimenti biologici è fortemente influenzata dal grado di conoscenza da parte dei consumatori del metodo di produzione con cui essi sono stati ottenuti. Maggiori sono le informazioni in possesso del consumatore sulle caratteristiche di tale processo produttivo, tanto più aumentano le probabilità di acquisto.
Il passo di valutare i benefici del metodo di produzione biologico è stato già compiuto dal mondo della ricerca sul piano economico, ambientale e più in generale scientifico. Ora è necessario che questo modello di “fare impresa” in agricoltura sia metabolizzato dal mercato e dalla società, come un nuovo modello di competitività e un nuovo sistema di attribuzione del valore.
La differenza di prezzo tra alimenti biologici e convenzionali si giustifica con i maggiori benefici attesi e con i più elevati standard di qualità che presentano tali alimenti. E’ importante, quindi, sottolineare lo stretto rapporto esistente tra prezzo-e qualità del cibo biologico.
Il valore economico dell’agricoltura biologica è stimato oggi in un volume di affari di quasi 55 miliardi di dollari nel mondo e di oltre 18 miliardi di euro in Europa, 3 miliardi di euro in Italia.
Un mercato che coinvolge nel nostro Paese oltre 1 milione di ettari e quasi 48 mila operatori sul mercato. Un mercato che ha registrato una crescita di consumi costante in Italia, più che negli altri Paesi, anche, in questa fase di crisi, grazie all’elevato contenuto in termini di valore di tali alimenti ed all’esperienza acquisita dalle imprese nonché a nuove modalità di distribuzione di tali prodotti.
Basta tornare indietro nel tempo, prima dell’avvento dell’agricoltura intensiva e, quindi, dell’introduzione di tecniche colturali e produttive “spinte”, per poter cogliere quanto il requisito “biologico” sia sempre stato una prerogativa di ogni prodotto agricolo, intendendo con il termine, biologico l’adozione di sistemi di coltivazione ed allevamento il più naturali possibile. Questo concetto di naturalità è stato poi codificato dall’Unione Europea, per cui oggi il termine biologico può essere attribuito, in etichetta, solo ed esclusivamente ad un alimento che è stato ottenuto secondo le norme di produzione stabilite dalla legislazione comunitaria. Infatti, secondo la legislazione vigente non è sufficiente che un alimento sia ottenuto senza ricorrere a sostanze chimiche di sintesi per potersi definire biologico ma deve provenire da un processo di produzione che abbia rispettato tutte le regole stabilite dall’Unione Europea.
Questo non significa che l’agricoltura convenzionale sia “contaminata” o “manipolata”. Tale concetto è tanto più vero nel nostro Paese, in cui le regole sull’utilizzo di qualsivoglia agrofarmaco o fertilizzante, è molto rigido e restrittivo, così come l’applicazione delle norme sul benessere animale. E’ certamente da attribuire anche a questi fattori la costante crescita di attenzione verso il Made in Italy anche se c’è chi è andato oltre, credendo e investendo fortemente nella vendita diretta, per dialogare in prima persona con il consumatore garantendolo sulla sicurezza e genuinità del prodotto e per gratificare maggiormente gli imprenditori agricoli che sono i veri protagonisti del successo del Made in Italy nel mondo.
Nel consumatore, si è affermata sempre di più la convinzione di una “scelta alimentare consapevole” con maggiore attenzione alle informazioni riportate in etichetta sul prodotto e alla conoscenza del mondo agricolo. L’agricoltura biologica ed il prodotto biologico sono stati percepiti come un’opportunità per conciliare sicurezza alimentare e rispetto delle risorse ambientali anche se, in certi casi, rappresentano un costo maggiore per la spesa familiare.
2.1. “Oltre” il prezzo: verso un nuovo modello di consumo
Il consumo in Italia di alimenti biologici registra un trend decisamente in aumento, nonostante la crisi. Secondo i dati ISMEA il 2010 é stato un anno positivo per i consumi di alimenti biologici in quanto si è registrato un incremento della spesa domestica in prodotti biologici dell’11,6% che risulta essere il più elevato degli ultimi otto anni e confermata anche dai primi mesi del 2011. Per i prodotti biologici sfusi per cui Ismea dispone dei soli dati relativi all’ortofrutta fresca l’incremento è stato dell’8,1%. Nell’ambito dell’ortofrutta bio, i prodotti maggiormente acquistati sono pomodori e mele.
Una tendenza positiva, relativa alla spesa, confermata per quasi tutti i prodotti esaminati, ad eccezione di gelati, bevande alcoliche e alimenti dietetici.
Tra i prodotti di punta, il 2010 ha evidenziato un’ottima performance per i lattiero caseari (+13,2% rispetto al 2009) e per l’insieme costituito da biscotti, dolciumi e snack (+13,5%). Positiva anche la dinamica dei consumi di frutta e ortaggi bio, in crescita del 4,2%, e delle uova (+7,4%), prodotto che rientra nella graduatoria dei cinque più venduti.
Crescite importanti anche per pasta e riso (+22,3) e salumi (+56,4%).
Meno rilevante, ma sempre sostenuta inoltre, la performance di oli (+10,2%), pane e prodotti sostitutivi (+12,3%) e miele (+8%).
Relativamente alla distribuzione geografica, i maggiori incrementi si sono rilevati nel Nord-Est e Mezzogiorno, anche se il Nord-Ovest è l’area con la più alta incidenza sulla spesa nazionale. Come sempre, il consumo di prodotti bio vede nel Settentrione d’Italia oltre il 70% degli acquisti. Per quanto riguarda la catena di distribuzione, il dettaglio tradizionale è il canale che ha fatto segnare la crescita più marcata con un +29,3%.
Dal punto di vista dei canali distributivi si evidenzia una tendenza all’allineamento in tutte le ripartizioni geografiche del peso di negozi specializzati, canali extradomestici (mense, agriturismi, ristoranti) e canali alternativi (che includono la vendita diretta e i mercati bio, ma anche i Gas) nelle preferenze dei consumatori. In particolare al Nord est e al Centro il 30% delle vendite bio avviene attraverso i canali alternativi, mentre al Nord-Ovest e al Sud si tratta del 21% e del 19%. Un peso in ogni caso superiore o analogo a quelli dei negozi specializzati (meno che al Nord Ovest).
Ma qual è il profilo del consumatore di alimenti biologici? Nel 2010 il bio si consuma di più nelle famiglie non molto numerose: circa il 70% dei consumi avviene in quelle con al massimo tre componenti. Tuttavia, nel corso del 2010 crescono di più i consumi nelle famiglie con quattro, cinque o più componenti. Il consumatore-tipo affezionato al biologico è giovane, con un’età media di 44 anni, mentre quasi un 20% ricade nella classe più “estrema” (oltre i 64 anni). Il biologico si consuma di più nelle famiglie a reddito medioalto.
Queste ultime detengono un’incidenza dei consumi pari a quasi i 2/3 del totale e registrano anche interessanti incrementi nel 2010, anche se nell’anno appena passato gli acquisti crescono molto anche nelle famiglie con reddito inferiore alla media nazionale e più basso. Ad ogni modo la maggior parte dei consumatori che acquistano prodotti bio non sono consumatori abituali. Infatti il 76,5% degli acquirenti di biologico acquista il bio una volta al mese, il 15,3% due volte al mese, e il restante 8,2% tre o più volte6. Il comparto biologico quindi cresce, ma vi è comunque uno zoccolo duro di acquirenti abituali ancora da ampliare. Tale aspetto, insieme agli altri fenomeni descritti, è importante in quanto evidenzia i potenziali margini di crescita di questo mercato.
In sostanza, i dati Ismea confermano l’importanza di continuare ad investire in Italia sull’agricoltura biologica per soddisfare una domanda in crescita, per la prima volta, anche nel Mezzogiorno.
Nel momento in cui il consumatore si trova a dover scegliere se acquistare un prodotto biologico o convenzionale, è importante che egli sia consapevole del valore del biologico che non è rappresentato solo dal fattore prezzo, ma anche da quello economico ed ambientale.
La scelta a favore del biologico testimonia la presenza di un consumatore particolarmente sensibile e attento ai processi produttivi e non solo al prodotto, ai meccanismi che acquista tale tipologia di alimenti tenendo conto anche di altri elementi (etica, qualità, sicurezza, sostenibilità ambientale, stile di vita, ecc..) oltre che al “fattore prezzo”, un consumatore, insomma, che presenta un buona cultura alimentare.
Ad avvalorare questa tesi sono anche i dati più recenti sull’evoluzione dei prezzi di mercato che non sempre evidenziano un differenza marcata rispetto al convenzionale o meglio una differenza che non può essere considerata marcata se si sposa con la logica prima descritta sul valore socio ambientale oltre che economico degli alimenti bio, tanto più che attualmente canali come la vendita diretta ribaltano eventuali “non convenienze” all’acquisto di alimenti biologici.
L’analisi sulla differenza di prezzo tra prodotti biologici e convenzionali è molto complessa e riguarda anche la diversa natura delle produzioni. Sarebbe sbagliato affermare in modo generico che “costano di più”. Spesso il maggior prezzo di vendita è dovuto al binomio biologico-tipico che esula da considerazioni strettamente connesse a questo specifico settore. In zone, quali le grandi città e le località turistiche, dove il commercio delle specialità alimentari è preponderante capita che il prezzo del prodotto convenzionale superi quello del biologico.
Ad ogni modo è vero che i prodotti biologici hanno, mediamente, un prezzo più elevato rispetto a quelli convenzionali. Ciò è dovuto a diversi fattori: in primo luogo, alle minori rese produttive che caratterizzano tale metodo di produzione sia per i prodotti vegetali che zootecnici. Il non impiego di fitofarmaci e fertilizzanti di sintesi chimica e, in zootecnia, il prevalente ricorso alla medicina omeopatica, nonché il diverso sistema di alimentazione degli animali e di selezione delle razze determinano una produzione inferiore in termini quantitativi. Allo stesso tempo, il metodo di produzione biologico presenta più elevati costi di produzione rispetto al metodo convenzionale, per il fatto che i mezzi tecnici impiegati hanno un prezzo di acquisto più elevato per l’imprenditore agricolo. Vi è, inoltre, un maggior ricorso a lavorazioni fisiche e meccaniche, richiedenti un impiego supplementare di manodopera, maggiori rischi produttivi e, non bisogna dimenticare, i costi relativi all’obbligo di certificazione e controllo degli alimenti affinché tali alimenti possano essere etichettati come biologici da parte di Organismi autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali.
In sostanza, il metodo di produzione biologico, prevedendo norme più restrittive in materia di tutela dell’ambiente e del rispetto del benessere animale determina per l’impresa agricola maggiori costi di produzione e di conseguenza prezzi più elevati al consumo che, però, sono garanzia di un prodotto alimentare di alta qualità.
2.2. L’andamento dei prezzi per le principali categorie di alimenti
L’analisi dei dati conferma che la filiera corta, con l’eliminazione di alcuni passaggi commerciali, consente di abbattere il prezzo finale, con vantaggi per il consumatore ma anche per il produttore, che utilizza sempre più questo canale di vendita alternativo.
Le rilevazioni dei prezzi ai diversi livelli della filiera evidenziano come le fluttuazioni di prezzo interessano in particolare le fasi alla produzione e alla distribuzione. Tali prezzi hanno tendenze diverse a seconda dei diversi periodi dell’anno mentre i prezzi al consumo sono relativamente stabili ed ad un livello costantemente più elevato.
In sostanza per la maggior parte dei prodotti agricoli biologici , ad es. il pomodoro, la stagionalità delle produzioni riveste un ruolo importante nella definizione del prezzo che tendenzialmente risulta più basso nei periodi vocati ad una maggiore produzione. Pertanto è interesse del consumatore acquistare prodotti biologici di stagione se vuole risparmiare in termini di acquisto.
Nella formazione del prezzo il peso della produzione supera molto raramente il 50% del prezzo finale. Da sottolineare è il notevole peso in termini percentuali del differenziale di prezzo aggiunto dal punto vendita che varia tra il 30% e il 40%.
Le differenze di prezzo tra biologico e convenzionale sono generalmente più contenute nella fase all’ingrosso che non nella fase al consumo.
Per quanto riguarda l’ortofrutta, dal confronto tra i prodotti bio e quelli convenzionali, emerge che nel mese di giugno 2011 (rispetto agli stessi trenta giorni del 2010) i prezzi all’origine dei prodotti ortofrutticoli biologici sembrano in forte prevalenza aumentare di più (o diminuire di meno) rispetto ai corrispondenti prodotti convenzionali. Il grano duro biologico utilizzato dai pastifici è prevalentemente di produzione nazionale e non si registrano importazioni significative. In relazione ai confronti con il convenzionale, è da rilevare che a giugno 2011, rispetto allo stesso mese del 2010 il prezzo del frumento duro convenzionale cresce in modo importante, a fronte di un aumento più contenuto del prezzo del corrispondente prodotto bio.
In merito agli oli vegetali, nel comparto degli oli extravergini si registra una stabilità dei prezzi. In riferimento ai confronti con i corrispondenti prodotti convenzionali, si registra, invece, un aumento di prezzo all’origine di circa il 22% di quello all’azienda del corrispondente prodotto non bio dovuto ai maggiori costi di produzione sopportati dall’impresa agricola.
Nell’ambito degli animali vivi (bovini e suini) si registra nel mese di giugno 2011 una completa stabilità a livello congiunturale dei prezzi all’origine bio; a livello tendenziale si segnala, invece una flessione media intorno al 4% dei prezzi di tutti gli animali monitorati. Il confronto con il convenzionale evidenzia per il prodotto bio un calo di prezzo più consistente rispetto al non bio. Al consumo, inoltre, i prezzi delle uova bio segnano una flessione in linea con l’andamento all’origine dello stesso prodotto bio.
Ancora oggi, a venti anni dall’entrata in vigore della legislazione comunitaria in materia di agricoltura biologica, gli imprenditori agricoli riscontrano numerose difficoltà nella gestione della propria azienda.
Il maggior costo del prodotto biologico è dovuto:
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all’eccessiva burocratizzazione dei numerosi adempimenti amministrativi che scoraggiano l’ingresso degli agricoltori e la loro permanenza nel sistema.
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alla scarsa attività di ricerca e sperimentazione e alla conseguente assenza di divulgazione dei risultati.
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alla mancanza di impianti di prima trasformazione e di confezionamento certificati ubicati vicino all’azienda portando l’agricoltore a non abbattere i costi di produzione. Gli alti costi di trasporto verso gli impianti più lontani incidono notevolmente sul prezzo finale del prodotto.
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ai costi di certificazione che sono particolarmente onerosi specialmente per le aziende di piccole dimensioni.
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alla scarsa reperibilità di sementi certificate e specifiche per la coltivazione biologica, più produttive e resistenti a patologie e parassiti. Questo induce molti operatori ad una scelta varietale errata;
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alla difficoltà di sbocchi commerciali per il prodotto certificato con la conseguenza di immettere sul mercato un prodotto biologico che verrà venduto come convenzionale portando così alla perdita del valore aggiunto per il produttore;
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alla mancanza di informazione da parte dei consumatori, sulle caratteristiche delle produzioni biologiche;
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al maggior consumo di gasolio agricolo per alcuni lavori agronomici come i ripetuti passaggi con le attrezzature meccaniche per la falsa semina, la sarchiatura e la morganatura tra una coltura e l’altra per l’abbattimento delle infestanti non potendo usare i diserbanti;
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al maggior costo dei fertilizzanti e dei fitofarmaci autorizzati per il metodo di produzione biologico;
2.3. Un nuovo canale di distribuzione dei prodotti bio: la vendita diretta
I prodotti biologici si sono rivelati più costosi di quelli ottenuti con metodo convenzionale, il che, in passato, è stato un ostacolo alla loro espansione commerciale. Ora, peraltro, si è andata affermando una disponibilità diversa in un maggior numero di consumatori disposti a pagare un po’ di più alimenti che offrano maggiori garanzie di qualità, di sicurezza e di riconoscibilità del metodo di produzione.
La vendita diretta concorre, ovviamente, ad abbattere i prezzi dei prodotti biologici in quanto accorcia la distanza tra l’impresa agricola biologica ed il consumatore favorendo, così, anche quel ricercato rapporto fiduciario di grande attualità.
Di qui, la convenienza per i consumatori ad acquistare i prodotti biologici direttamente dai produttori agricoli. Tale convenienza è ampiamente dimostrata dai dati Ismea che dal settembre 2010, rileva anche i prezzi al consumo praticati in vendita diretta per molti prodotti ortofrutticoli, derivati dei cereali, uova e carni avicole, lattiero-caseari ed oli. I relativi prezzi dei mesi di aprile e maggio 2011 sono riportati nella tabella in allegato.
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Prezzo vendita diretta |
Prezzo al consumo |
Pomodori ciliegini |
3.50 |
4.12 |
Patate |
1.00 |
1.97 |
Pesche |
1.27 |
3.31 |
Uova |
0.28 |
0.42 |
riso |
2.26 |
3.37 |
Fonte: elaborazione Coldiretti su dati Ismea 2011
Come si può notare, ad eccezione del pomodoro ciliegino, tutti gli altri prodotti ortofrutticoli se acquistati direttamente dal produttore agricolo tramite la vendita diretta, presentano un prezzo che è quasi la metà di quello al consumo.
I dati Ismea incoraggiano l’impegno delle imprese agricole italiane a favore dell’agricoltura biologica e sono una conferma della validità delle politiche di mercato promosse in questi anni da Coldiretti che ha privilegiato la vendita diretta come canale di distribuzione di tali alimenti, attraverso i mercati ed i punti vendita di Campagna Amica. Il rapporto tra cittadino ed imprenditore agricolo nella vendita diretta, consente ai consumatori di conoscere meglio ed apprezzare tale tipologia di prodotti garantendo degli acquisti consapevoli orientati alla qualità e alla stagionalità degli alimenti.
Il vantaggio di impiegare come sistema di distribuzione degli alimenti biologici, la vendita diretta consiste in un maggiore scambio di informazioni tra agricoltore e consumatore, sia sul prodotto sia sul metodo di coltivazione e di allevamento. Così si comunica la storia del prodotto biologico e dell’azienda produttrice in un reciproco coinvolgimento etico ed economico. Difatti, molto spesso sono di difficile reperibilità e comprensione le informazioni su chi ha prodotto un determinato alimento e con quale metodo.
La vendita diretta, intesa come riconoscimento di un rapporto fiduciario tra chi produce e chi consuma, è sempre più al centro dell’azione commerciale dell’impresa agricola biologica socia di Coldiretti.
Così, i prodotti biologici “direttamente” venduti trasmettono quel valore di forte identità territoriale e la riconoscibilità del delicato e responsabile lavoro dell’imprenditore biologico italiano che viene, spesso, vanificato da prodotti certificati biologici provenienti dall’estero, senza carta d’identità e con dubbia verificabilità dei processi produttivi.
Le aziende agricole biologiche, per loro natura ed organizzazione, hanno quindi un ruolo sociale ed ambientale importantissimo, perché realizzano prodotti sani e buoni per chi li consuma e per l’ambiente in cui sono prodotti.
L’agricoltura biologica rimette al centro delle decisioni aziendali l’agricoltore cui è affidata la gestione del territorio, compito che esalta il ruolo di utilità sociale dell’azienda agricola e integra quello di operatore economico, un operatore che deve percepire un giusto reddito ed ottenere il riconoscimento, attribuito dalla collettività, per un’attività che ha un forte legame positivo con il territorio e l’ambiente e che rispetta le chiare regole sancite dalle norme del metodo di produzione biologico.
2.4. I luoghi del bio e del nuovo consumo: la rete Campagna Amica
In questo contesto è d’obbligo sottolineare l’esperienza di Campagna Amica che rappresenta oggi nel nostro Paese, la più estesa Rete distributiva di prodotti agricoli e italiani e, per tipologia di format commerciale, è seconda solo agli USA. Nasce nel 2009 con il fine di realizzare il progetto di Coldiretti della Filiera Agricola Italiana, ovvero di costruire una rete di filiere agroalimentari che mettano al centro l’agricoltore e il consumatore: il primo resta il proprietario del prodotto che ha coltivato o allevato o trasformato, fino a quando il cittadino lo acquista. In questo modo la Filiera diventa “corta” ovvero vengono eliminate tutte le forme di transazione e intermediazione commerciale, garantendo in tal modo una più equa distribuzione del valore, quindi un maggior reddito per l’agricoltore e una maggiore trasparenza e informazione per il consumatore.
Un capillare e strutturato sistema di controllo e certificazione, garantisce l’origine italiana del prodotto posto in vendita oltre che la sua natura agricola, ovvero che non sia uscito dalla Filiera agricola per entrare in una filiera “commerciale”.
La Rete di Campagna Amica conta oggi più di 800 Mercati di Campagna Amica, per intendersi si tratta dei classici mercati dei contadini, oltre 4000 Fattorie di Campagna Amica che sono aziende agricole o agrituristiche (compresi i ristori agrituristici) che vendono direttamente i propri prodotti e stanno nascendo le Botteghe di Campagna Amica, veri e propri “negozi agricoli” ma collocati in zone cittadine, per avvicinare la campagna alla città che venderanno le eccellenze di tutti gli agricoltori controllati e certificati, provenienti da tutto il Paese.
Il marchio CA e il suo corretto utilizzo è in capo alla Fondazione Campagna Amica (in Internet: www.campagnamica.it).
In questo contesto, un ruolo particolarmente importante riveste il settore biologico. Basti ricordare che questo all’interno della Rete di Campagna Amica rappresenta circa l’11% rispetto alla nicchia (seppur in crescita) del 7-8% delle comuni forme distributive.
Questo dato è attribuibile, tra le altre cose, alla maggiore attitudine dei prodotti biologici di essere venduti direttamente dall’agricoltore, dovuta da una parte, alla loro minore conservabilità che male si adatta ad affrontare lunghi “viaggi” per raggiungere le tavole dei cittadini, dall’altra alla possibilità dell’agricoltore di “raccontare direttamente” la genuinità del prodotto anche quando questo si presenta con un “aspetto” (in particolare per il comparto ortofrutticolo) che non sempre corrisponde ai canoni di perfezione cui i media e la società moderna ci hanno indirizzato.
Come già accennato, il biologico è una parte importante della rete di Campagna Amica. Ciò è particolarmente vero per alcune regioni quali la Basilicata e la Calabria nelle quali la quota di produttori rappresenta un quarto del totale produttori della rete di vendita diretta di Campagna Amica (rispettivamente il 27% e il 23%), seguite da Marche e Umbria (tutte e due intorno al 20%). Dal punto di vista dei numeri, invece, le regioni in cui sono localizzate la percentuale maggiore di aziende biologiche sono la Toscana e l’Emilia Romagna (entrambe intorno al 12% sul totale delle aziende non biologiche della rete di Campagna Amica).
Il biologico di “Campagna Amica” è rappresentato maggiormente dagli agriturismi, ha tra i titolari di aziende una presenza più accentuate di donne e ha una dimensione media aziendale più grande rispetto alle aziende convenzionali.
Il 25% delle aziende biologiche risultano così impegnate nell’attività agrituristica come il 17% degli agriturismi sono biologici, questo a riprova di come il movimento dell’agriturismo e quello dell’agricoltura biologica siano molto legati e col desiderio comune di far crescere un’agricoltura rispettosa dell’ambiente associata ad un’offerta turistica in armonia con l’ambiente, la comunità e le culture locali. Ciò è particolarmente vero se si considera la ristorazione agrituristica, dove la cultura del biologico permette di valorizzare la somministrazione dei pasti proponendo pietanze genuine, tradizionali e di alta qualità.
Il biologico attrae, inoltre, il 14% delle donne titolari di aziende della rete di Campagna Amica. Risulta infatti che un terzo delle aziende biologiche è gestito da donne le quali mostrano quindi una sensibilità maggiore verso ciò che è naturale e di qualità.
I principali orientamenti produttivi scelti dalle aziende biologiche di Campagna Amica sono il comparto dell’olio di oliva (il 18% sul totale degli indirizzi produttivi dichiarati) seguito dai comparti orticolo (16%) e frutticolo (14%).
La vendita diretta interessa il 42% delle aziende biologiche e il 22% di esse partecipa ai mercati di Campagna Amica. Tra coloro che fanno vendita diretta, il 58% delle aziende biologiche dichiarano che oltre il 20% del fatturato deriva da questo canale di vendita.
Un dato molto importante che emerge dalla rete di Campagna Amica e che tra coloro che ne fanno parte, il 55% delle aziende biologiche affermano che nell’ultimo anno il proprio fatturato è cresciuto, mentre per le aziende non biologiche la percentuale scende al 44%.
BOX Il Consorzio Biopiace
Tra le varie realtà produttive biologiche del nostro Paese che aderiscono alla Rete di Campagna Amica, merita di essere menzionato il Consorzio Biopiace, che in poco tempo è riuscito a realizzare una struttura organizzativa e distributiva in grado di coinvolge varie realtà della provincia di Piacenza.
Nato nel 2002 grazie all’impegno di un gruppo di agricoltori ed al supporto di Coldiretti, con l’obiettivo di offrire nuove opportunità commerciali alle aziende agricole di montagna e collina del territorio, oggi BioPiace associa circa 50 aziende agricole ed è una realtà unica, che incontra i criteri di genuinità, tipicità e rispetto ambientale adottando la scelta dell’agricoltura biologica quale metodo per offrire prodotti buoni e sani che possano tutelare la salute dei consumatori.
Le realtà presenti all’interno del Consorzio sono molteplici, dalle aziende zootecniche da latte (bovino- ovino- caprino) a quelle da carne, passando per piccoli allevamenti di suini allo stato brado fino ad arrivare a quelle dedicate all’apicoltura o dotati di piccoli caseifici per la trasformazione del formaggio e per l’imbottigliamento del latte oppure a vocazione ortofrutticola e vitivinicola.
CAPITOLO TERZO
Il valore ambientale dell’agricoltura biologica:
dalla lotta ai cambiamenti climatici allo sviluppo dell’energia verde
-
Le emissioni di gas serra: il contributo dell’agricoltura
Il sistema agricolo ricopre un ruolo fondamentale nell’ambito del dibattito sui cambiamenti climatici e non potrebbe essere diversamente considerata la relazione di causa-effetto che unisce il sistema agroalimentare ai cambiamenti climatici e viceversa. Se da un lato infatti l’attività agricola – ed in particolare quella di tipo industriale su larga scala, orientata alle alte rese, alla monocoltura, all’allevamento intensivo e all’uso massiccio di agro farmaci – è un emettitore netto di gas serra, in particolare di protossido di azoto (N2O), che ha un potenziale di riscaldamento globale (GWP) pari a 310 volte la CO2; e di metano (CH4) con un GWP pari a 23 volte la CO2, dall’altro subisce gli effetti negativi dei cambiamenti climatici, in termini di minore disponibilità delle risorse naturali (acqua e terra), ma anche di perdita di biodiversità, di varietà locali e quindi di minore produttività e di minori certezze sul fronte della sicurezza alimentare.
L’agricoltura tuttavia è anche l’unico sistema produttivo in grado sia di ridurre le emissioni di CO2 attraverso l’applicazione di tecniche di coltivazione a ridotto impatto ambientale (grazie ad esempio all’uso di sovesci, di rotazioni, di consociazioni colturali, di minime lavorazioni del terreno, di fitofarmaci e fertilizzanti naturali), sia di sottrarre mediante la fotosintesi la CO2 atmosferica, fissarla nelle piante e, attraverso il parziale o totale interramento della biomassa, fissarla in parte nel suolo sotto forma di sostanza organica (SO). Non va dimenticato infatti che negli ultimi cinquant’anni si è assistito ad un impoverimento del tenore di sostanza organica nei suoli italiani e, soprattutto nelle aree meridionali, alla perdita irreversibile di fertilità a causa del fenomeno della desertificazione che, a sua volta, è provocato da fattori multipli, dai cambiamenti climatici fino all’uso improprio di prodotti chimici per la difesa delle colture agrarie.
Secondo il rapporto Ispra1, nel 2009 le emissioni di gas serra totali nell’Europa a 15 (escludendo il LULUCF ovvero il cosiddetto land use, land use change e forestry), hanno registrato un diminuzione del 12,7% rispetto al 1990, e solo fra il 2008 e il 2009 il calo è stato pari al 6,9%.
Anche in Italia si è verificato lo stesso trend, con una diminuzione delle emissioni in atmosfera del 5,4% dal 1990 al 2009, concentrata soprattutto nell’ultimo anno, dal 2008 al 2009, con un calo del 9,3%. Una riduzione attribuibile più che a una buona politica di risparmio, efficienza energetica e investimenti nelle fonti rinnovabili soprattutto a fattori quali la recessione economica, che ha giocato un ruolo rilevante generando delle forti ripercussioni sui livelli di produzione del settore “energia” e sui “processi industriali”.
Riguardo al settore agricoltura, dal 1990 al 2009, è stata calcolata una riduzione delle emissioni di gas serra, a livello europeo (Eu-15) del 14%, anche se questa è riconducibile quasi del tutto alla diminuzione delle quantità di metano e di protossido di azoto, derivante prevalentemente dalla riduzione dei capi zootecnici e dell’uso di fertilizzanti azotati.
Nonostante il peso del settore agricolo rispetto alle emissioni di metano e protossido di azoto, queste sono diminuite rispettivamente del 31,2% e del 30,5% tra il 1990 e il 2009.2
In Italia, il calo di emissioni da parte di questo settore è stato del 15,1%, passando da 40,6 milioni di tonnellate di CO2 equivalente nel 1990 a 34,5 nel 2009, così come si evince dalla tabella seguente.
Emissioni nazionali di gas serra dal 1990 al 2009
Settori di emissioni e assorbimenti dei gas serra |
1990 |
1995 |
2000 |
2005 |
2006 |
2007 |
2008 |
2009 |
1990-2009 |
CO2 equivalente (Mtg) |
|
||||||||
Trasporti |
102,897 |
113,703 |
122,409 |
127,354 |
128,740 |
128,766 |
123,687 |
119,258 |
+ 15,9% |
Industrie energetiche |
137,214 |
140,541 |
152,556 |
160,856 |
162,224 |
161,839 |
157,972 |
132,989 |
- 3,1% |
Industria manifatturiera |
88,152 |
87,572 |
85,264 |
82,080 |
80,655 |
77,412 |
74,354 |
57,754 |
-34,5% |
Processi industriali |
37,673 |
35,111 |
35,315 |
41,108 |
36,590 |
37,144 |
34,286 |
29,940 |
-20,5% |
Solventi e altri prodotti |
2,455 |
2,235 |
2,235 |
2,139 |
2,141 |
2,104 |
1,998 |
1,862 |
-24,2% |
Altri settori e fonti varie (emissioni fuggitive, petrolio e gas naturale, ecc…) |
90,282 |
89,564 |
90,535 |
103,248 |
96,692 |
90,502 |
94,789 |
96,742 |
+ 7,1% |
Agricoltura |
40,623 |
40,435 |
40,044 |
37,289 |
36,695 |
37,311 |
35,950 |
34,481 |
- 15,1% |
LULUCF |
-61,795 |
-79,924 |
-78,891 |
-90,542 |
-96,965 |
-73,310 |
-92,828 |
-94,671 |
- 53,2% |
Rifiuti |
19,861 |
20,790 |
23,215 |
20,819 |
20,175 |
19,491 |
18,713 |
18,094 |
- 8,6% |
Totale (includendo LULUCF) |
457,362 |
450,027 |
472,749 |
484,351 |
466,947 |
481,259 |
448,921 |
396,449 |
-13,3% |
Totale (escluso LULUCF) |
519,157 |
529,951 |
551,640 |
574,893 |
563,911 |
554,569 |
541,749 |
491,120 |
-5,4% |
Fonte: Elaborazione Legambiente su dati Ispra 2011
Alla luce di questi dati, è evidente che il settore agricolo dovrà ricoprire più importanza nella politica climatica. In base al Rapporto sullo stato dell’agricoltura dell’Istituto nazionale di economia agraria, l’agricoltura rappresenterà nel 2050 un terzo delle emissioni totali dell’Europa, una quota tre volte superiore a quella attuale, anche a causa della diminuzione del peso di altri settori.3
La Commissione europea, per rispettare gli impegni assunti a livello internazionale di riduzione delle emissioni dell’80-95% entro il 2050 (rispetto ai livelli del 1990), ha fissato degli obiettivi di mitigazione al settore agricolo che dovrebbero prevedere una diminuzione tra il 42-49% delle emissioni. Questo sarà possibile soltanto applicando misure che abbiano l’obiettivo di incrementare in maniera sostenibile l’efficienza, favorire il recupero energetico dei residui agro zootecnici e il successivo impiego nei campi dei loro sottoprodotti (es. digestato e anche, se la legge cambiasse, ceneri da combustione), ridurre e usare in maniera razionale i fertilizzanti, diversificare e promuovere il commercio delle produzioni a livello locale, ottimizzare i vantaggi dell’agricoltura estensiva e dello stoccaggio di carbonio nei suoli e nelle foreste e abbandonare la strada dell’allevamento intensivo.
Per quanto riguarda l’Italia, come è stato evidenziato, le emissioni di gas serra dell’agricoltura hanno già mostrato un trend in riduzione (-15%), ma l’agricoltura e la silvicoltura hanno le potenzialità per raggiungere ulteriori obiettivi di mitigazione, a condizione però che vengano messe a disposizione risorse aggiuntive rispetto a quelle attualmente previste, per l’incentivazione delle pratiche agricole che sono orientate a una migliore gestione dei suoli agricoli, dei pascoli, dell’irrigazione, al recupero dei suoli organici ma anche alla produzione di bioenergia.
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Il duplice ruolo del Biologico: mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici
Trasformare in misura concreta il potenziale tecnico di mitigazione dell’agricoltura è la sfida da raccogliere, in primis sostenendo le tecniche e le pratiche agricole che hanno già dimostrato di essere efficaci nel raggiungimento di questi obiettivi. L’agricoltura biologica include una serie di pratiche utili ed efficaci a sequestrare il carbonio nel terreno, a produrre sostanza organica, a implementare la biodiversità, a ridurre i consumi di energia, nonché a promuovere stili di vita sostenibili, da un punto di vista economico, ambientale e sociale. Circa il 90% della capacità potenziale dell’agricoltura di ridurre le emissioni climalteranti proviene da questo tipo di pratiche sostenibili, che tra l’altro hanno effetti positivi per la riduzione di fame e povertà.
Ad oggi, diversi studi scientifici hanno evidenziato come l’agricoltura biologica rappresenti una valida alternativa a quella convenzionale per quanto riguarda la minore emissione di gas serra, i minori consumi energetici e la maggior capacità di adattarsi ai cambiamenti. L’applicazione dei principi cardine dell’agricoltura biologica permette di incrementare la sostanza organica, garantendo una maggiore fertilità dei terreni, oltre ad accumulare la CO2 nel terreno e a risparmiare energia.
L’agricoltura biologica è in grado, infatti, di fornire risposte concrete alle politiche di mitigazione e adattamento, poiché si fonda su pratiche che permettono di ridurre le emissioni di gas serra grazie a una maggiore capacità di sequestro del carbonio nei suoli. Uno studio svolto negli Usa, da ricercatori del Dipartimento di agricoltura degli Stati Uniti (Usda), del Rodale Institute e della Cornell University, ha evidenziato come il biologico contribuisca all’accumulo di carbonio nel terreno – evitando così la liberazione in atmosfera di anidride carbonica – e a un minore consumo di energia. Un campo coltivato ad agricoltura convenzionale, con mais e soia in rotazione e con utilizzo di fertilizzanti chimici ed erbicidi, trattiene 217 chili di carbonio per ettaro all’anno. Un terreno biologico con allevamento, coltivato a frumento, mais, erba medica da foraggio e soia, e che fertilizza col compost prima del mais, trattiene in media 1.218 chili di carbonio per ettaro all’anno. In quest’ultimo caso, il contributo alla riduzione delle emissioni di gas serra è quasi sei volta superiore all’agricoltura convenzionale.
Un altro contributo molto significativo alla diminuzione di emissioni di gas serra, è rappresentato dai numerosi interventi agronomici che caratterizzano il metodo biologico. Ad esempio, utilizzare il compost (fertilizzante naturale ricavato da materiale organico) e il sovescio (interramento di apposite colture per mantenere o aumentare la fertilità del terreno), abbinandoli con la rotazione delle colture e la non lavorazione, arriva a far trattenere al terreno dai 2000 ai 4000 chili di carbonio per ettaro. 4
L’incremento della sostanza organica è il caposaldo del metodo di agricoltura biologica e, da una ricerca condotta dal Fibl (Istituto di ricerca sull’agricoltura biologica) nel 2008 emerge che proprio la fertilità organica è la chiave di adattamento al cambiamento, per i diversi ruoli che essa svolge nel suolo. La diversità dei sistemi produttivi, che è tipica delle aziende biologiche, aumenta il livello di resilienza e cioè l’adattabilità alle diverse condizioni, incluso il cambiamento climatico. Aspetto non secondario è poi la riduzione degli input chimici esterni che porta ad una notevole riduzione delle emissioni di protossido di azoto (N2O) ed a un minore consumo di energia dovuto al divieto di utilizzare fertilizzanti chimici.
Il modello Bio è inoltre capace di indirizzare in senso ecologico i comportamenti degli operatori e dei cittadini e anche l’approccio al metodo di consumo. L’agricoltura biologica è in grado di promuovere una dieta legata alla stagionalità dei prodotti locali e al consumo di prodotti meno trasformati e confezionati che permette di limitare le emissioni durante tutta la filiera. Lo stile alimentare corrente per certi aspetti è ancora ricco di proteine animali, mentre per stile alimentare corretto, l’organizzazione mondiale della sanità (Oms) intende una dieta con aumento di cereali, frutta, verdura e proteine vegetali, con diminuzione di carne e altri prodotti animali. Considerando che in media un uomo che si nutre con cibo da agricoltura convenzionale, senza seguire i consigli dell’Oms, consuma 644 chili all’anno di prodotti freschi, si calcola che l’emissione sia di 1.230 chili di CO2 equivalenti annui; passando al consumo di prodotti bio risparmierebbe il 30% di emissioni. Con la coscienza ambientalista a posto e la sicurezza di uno stile alimentare corretto, mangiare bio consente dunque un risparmio, per il già sofferente clima, del 39,7% di emissioni procapite. 5
E questo senza calcolare l’ulteriore riduzione di emissioni che comporterebbe un’alimentazione basata sulla filiera corta e sulla stagionalità dei prodotti.
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Agrienergie: una nuova frontiera anche per il biologico
Per le aziende agricole lo sviluppo delle energie da biomassa è oggi una grande occasione per diversificare le opportunità di reddito, valorizzare le risorse del fondo e sviluppare un’azienda multifunzionale, che non produce più solo materie prime ma fornisce servizi al territorio. Diverse aziende agricole italiane hanno scelto questa strada. Sono aziende che hanno avviato la produzione di energia non per cambiare mestiere, ma per potenziare il valore delle loro produzioni tradizionali, utilizzando residui che fino a poco tempo prima costituivano un rifiuto problematico e riducendo i consumi di energie fossili per riscaldare le loro serre o i loro essiccatoi o per spandere sui campi digestato e ammendanti naturali in sostituzione dei fertilizzanti chimici.
L’interesse di molte aziende, convenzionali e biologiche, verso l’innovazione e la gestione sostenibile delle produzioni ha generato collaborazioni con il mondo della ricerca. Si riportano di seguito cinque casi aziendali, premiati da Legambiente e dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (Anci) alla manifestazione BioEnergy 2011 di Cremona e divenuti luoghi di sperimentazione per soluzioni tecnologicamente sostenibili.
La Poderina Toscana di Castel del Piano (Gr), sull’Amiata, produce olio extravergine da agricoltura biologica di Olivastra Seggianese e vino Rosso Marracone Doc e ha scelto di usare come combustibile il nocciolino di sansa, residuo della spremitura delle olive, riuscendo così a trasformare un problema di smaltimento, e spesso di inquinamento delle acque, in una risorsa.
Con questo combustibile, l’azienda garantisce il riscaldamento dell’acqua di lavaggio, dell’acqua di lavorazione e per lo stoccaggio dell’olio e, infine, del fluido utilizzato per il riscaldamento della cantina. La caldaia fornisce anche calore al suo ristorante di prodotti bio “L’Olivastra”, attiguo al frantoio, garantendo una temperatura costante di 22° su circa 500 mq di locale. Grazie al nocciolino di sansa e all’impianto fotovoltaico realizzato sui tetti, la Poderina è dunque autosufficiente per tutte le sue esigenze energetiche. E spesso da innovazione nasce altra innovazione: oggi infatti, col supporto del Consorzio per lo Sviluppo delle Aree Geotermiche (Co.Svi.G.), l’azienda è alla ricerca di un possibile impiego delle acque di vegetazione residue del frantoio sia per la produzione di biogas che per la produzione di polifenoli da usare in campo farmaceutico.
Le Cantine Lungarotti, di Torgiano (Pg) hanno deciso di utilizzare le potature dei loro 200 ettari di vigneti – 150 tonnellate annue di residui – a supporto di tutte le esigenze termiche dell’azienda e della vinificazione. Un impianto a olio diatermico (con temperature che arrivano a 300°), dotato di scambiatori di calore e gruppi frigo ad assorbimento, consente di produrre acqua calda per il riscaldamento invernale, acqua fredda a 7°C per il condizionamento estivo, acqua surriscaldata a 95°C e vapore per la sterilizzazione delle bottiglie e acqua refrigerata fino a -10°C per il condizionamento delle botti. Il tutto in piena autosufficienza, con una filiera cortissima di raccolta, rotoimballaggio, cippatura sul campo e uso energetico di quelli che un tempo erano solo scarti di lavorazione.
Ma anche nella produzione di energia elettrica ci sono diversi modi per ottenere vantaggi. Oggi la fonte principale di energia elettrica di origine agricola è il biogas, dato che l’olio vegetale, ottima alternativa al gasolio, ha raggiunto prezzi di mercato troppo alti per essere destinato a usi energetici. A fianco degli immancabili “furbi” che affittano un appezzamento agricolo per farvi un impianto da 999 kW (esattamente il limite previsto per ottenere il massimo incentivo dei 28 c/kwh) e per alimentarlo poi con granella di mais comprata chissà dove, ci sono molti allevatori che hanno realizzato impianti dimensionati sulle effettive risorse del fondo. Il grande beneficio ambientale, e anche economico, del biogas deriva dalla possibilità di valorizzare i reflui zootecnici, evitando che si disperdano carichi di nitrati nelle falde. E anche in questo caso, la soluzione di un problema ambientale può diventare una opportunità di riduzione dei costi e di diversificazione produttiva, come ad esempio la rimessa a coltura di cereali minori in rotazione o anche in secondo raccolto.
Cinque allevatori piemontesi si sono associati nella cooperativa Speranza di Candiolo (To) per realizzare due unici impianti, alimentati per quasi il 60% dai reflui dei loro bovini e per il rimanente da cereali. Oltre a produrre elettricità, forniscono calore via teleriscaldamento a un grande utente, l’Istituto per la Ricerca Contro il Cancro. Mentre aumentano i ricavi, riducono i costi agricoli. Nei terreni marginali o non irrigui coltivano in rotazione triticale e sorgo, mentre su terreni vocati coltivano mais. A partire dal secondo anno hanno drasticamente ridotto le concimazioni chimiche in favore dell’uso del digestato (il residuo azotato della produzione di biogas), in particolare nei terreni poveri di sostanza organica. Negli appezzamenti con doppio raccolto triticale-sorgo stanno introducendo la semina su sodo.
Qualche decina di chilometri più a nord, nel cuore del Parco della Mandria, l’azienda La Falchetta (To) alleva bovini di razza Blonde, coltiva cereali (frumento, orzo, triticale, granoturco, sorgo), ortofrutta ed erbe medicinali e fa agriturismo. Un’azienda a ciclo chiuso, con grande qualità di fabbricati storici e rispetto del paesaggio agrario, che di recente ha deciso anche di produrre biogas, alimentato al 90% da prodotti e sottoprodotti dell’azienda (compresi sorgo e mais seminati su sodo) e per il 10% da sottoprodotti industriali (borlanda e siero di latte) provenienti da filiera locale e tracciata. Col suo impianto di biogas fa trigenerazione – elettricità, riscaldamento e raffreddamento dei suoi vari fabbricati – e col digestato residuo ha ridotto del 35% la concimazione chimica sul mais, con l’obiettivo di arrivare all’eliminazione completa dell’urea.
Una piccola azienda di allevamento a conduzione familiare in provincia di Vicenza, Agrifloor (161 capi, di cui 87 in lattazione e 70 in rimonta interna), ha puntato su una nuova tecnologia – il minibiogas – per realizzare un impianto dimensionato sui propri residui aziendali e per fornire calore alle proprie serre. Anche in questo caso la produzione di biogas diventa opportunità per cercare nuove soluzioni ambientali. L’azienda infatti, che risiede in una zona molto delicata sotto il profilo ambientale – il Bacino scolante della Laguna Veneta – sta sperimentando in collaborazione coi tecnici di Veneto Agricoltura gli effetti di spandimento del digestato in un’area forestale di infiltrazione per la ricarica della falda.
Le energie da biomassa rappresentano oltre il 10% del consumo globale di energia primaria nel mondo e rappresentano tuttora i 2/3 dell’intera produzione di energia primaria da fonti rinnovabili nell’Unione Europea, che assegna un ruolo importante a questa fonte anche negli obiettivi al 2020. Ma le biomasse hanno anche un ruolo fondamentale per la produzione di cibo, per il ciclo della CO2, per la tutela della fertilità del suolo, della biodiversità e del paesaggio. Tuttavia, per quanto diffuse, a differenza di sole e vento, bisogna prelevarle, trasportarle e stoccarle. Per uno sviluppo duraturo e corretto di questa materia prima, non bisogna quindi dimenticare che è una fonte energetica indissolubilmente legata alle produzioni agricole e alle risorse del territorio. Lo sviluppo corretto delle agrienergie, infatti, non può che essere altamente decentralizzato; viceversa, in un approccio di tipo prettamente mercantile, prevale il criterio di produrre la massima quantità al minor prezzo, col conseguente ricorso alle materie prime importate, senza alcuna ricaduta positiva per il sistema agricolo nazionale. Le attività agricole mirate alla produzione di energia vanno pertanto sviluppate innanzitutto nella prospettiva di una crescente multifunzionalità dell’azienda agricola, come reale opportunità per diversificare le produzioni e mantenere i redditi più stabili anche in presenza delle imprevedibili oscillazioni dei prezzi provocate dalla globalizzazione dei mercati.
1 Ispra, Agricoltura – Emissioni nazionali in atmosfera dal 1990 al 2009, 140/2011
2 Eea, 2011 Annual European Union greenhouse gas inventory 1990–2009 and inventory report 2011
3Inea, Rapporto sullo stato dell’agricoltura, luglio 2011
4 Aiab e Firab, Il ruolo dell’agricoltura biologica nella mitigazione del cambiamento climatico, 2009