Lettera aperta: Il territorio non si vende
Il caso della ristrutturazione (giornalisticamente chiamata revamping) dell’Italcementi rischia di trasformarsi in una cartina di tornasole del mutamento dei rapporti sociali e in particolare del modo in cui il sindacato interpreta il suo rapporto con la società. Quando la segretaria della CGIL Susanna Camusso, al termine di un incontro con gli operai dell’Italcementi, dichiara alla stampa (Mattino, 7 aprile) il “pieno sostegno” al progetto del colosso del cemento e l’intenzione addirittura di ricorrere contro un’eventuale sentenza negativa del Tar, senza neppure sentire le ragioni di quanti al progetto si oppongono, dato che i sindacalisti “sono eletti dai lavoratori, non dai cittadini” e quindi non sono tenuti a diventare anche interlocutori dei comitati, fa un’affermazione che secondo noi riporta il sindacato indietro nel tempo, ricacciandolo in una concezione corporativa della società. Contraddicendo dunque le scelte fatte, soprattutto negli ultimi anni, dalla CGIL di prendere parte alle lotte sociali in difesa dei diritti dei cittadini in quanto tali e quindi anche degli “esclusi” dal mondo del lavoro: studenti, precari, immigrati, donne… Proprio parlando di queste ultime la sera stessa la Camusso, di fronte a una platea accorsa per sentir parlare di “personale è politico”, sosteneva come l’ostentazione della ricchezza abbia corrotto il modo di intendere il corpo, fino a trasformare il rivoluzionario slogan femminista “il corpo è mio e lo gestisco io” in una banale dichiarazione economicista:“il corpo è mio e me lo vendo io”. Perché allora non estendere coerentemente la condanna anche a un modo analogo di intendere l’ambiente, il paesaggio, come beni “in vendita” e non da gestire e tutelare? Tanto più in un territorio come il nostro, compreso in un’area Parco e soggetto a un Piano Ambientale che andrebbe rispettato e non continuamente eluso ora in nome della produzione ora dell’urbanizzazione (quindi sempre della cementificazione)!
Ma di questo la Camusso è stata messa al corrente? La sua giustissima accusa contro lo strapotere dei soldi, corruttori del pensiero e della morale, come si concilia con l’accondiscendenza a priori al rifacimento di uno stabilimento nella zona a più alta densità di cementifici d’Italia, proposto da un colosso del cemento, che si prende il lusso anche di intimidire i comitati di cittadini che si battono per la tutela del loro ambiente di vita portandoli a giudizio con richieste di danni milionarie.…
Se le affermazioni della Camusso sono dunque secondo noi inaccettabili, altrettanto lo sono il contenuto e il tono del volantino diffuso in questi giorni dai lavoratori del gazebo FILLEA Cgil e FILCA Cisl presente a Este.
I lavoratori dell’Italcementi, firmatari del volantino, hanno impostato l’appello come una difesa del “loro” posto lavoro fin dal titolo, in cui si parla del futuro dei “NOSTRI posti di lavoro” e delle “NOSTRE famiglie”. Quanto al testo, che inizia con un “NOI 250 lavoratori”, per ben tre volte in esso viene ripetuto “il NOSTRO lavoro”, per concludere con una firma, “NOI lavoratori dell’Italcementi”, che non ha precedenti nella nostra memoria di militanti sindacali. Abbiamo infatti sempre inteso il lavoro come un problema collettivo, sociale, e non come difesa di una fabbrica in contrapposizione con altre. Se infatti oggi la ristrutturazione dell’Italcementi comporta il licenziamento di 70 lavoratori della Cementeria ex Radici, come se ne valuta il bilancio? Salvare i NOSTRI posti di lavoro e sacrificare i VOSTRI?
Eppure non era partita in questi termini la trattativa con Italcementi: eravamo presenti quando (in sede Parco Colli) i dirigenti che illustravano il progetto affermavano che Itacementi avrebbe potuto continuare anche senza “revamping” con lo stesso numero di occupati. Allora forse non era il caso che tutte le parti in causa mettessero sul tavolo di discussione tutti i problemi , dalla produzione del cemento al modello di sviluppo del territorio?
Mi costa molto, dopo una lunghissima militanza sindacale, dover constatare che il sindacato non riesce a guardare oltre il presente. Sembra di essere tornati ai tempi bui della gogna contro chi si batteva per la chiusura delle cave dei Colli: paure irrazionali che, se comprensibili a livello del singolo lavoratore, sono inaccettabili se espresse da organizzazioni che dovrebbero progettare il futuro secondo un’idea di sviluppo sostenibile basato sul rispetto del paesaggio, sul limite alla cementificazione, sulla tutela della salute dentro e fuori la fabbrica, sul risparmio delle risorse, sul rispetto dei beni comuni e sulla valorizzazione di attività compatibili con il territorio…
E’ su questo terreno che vorremmo confrontarci.
Flores Baccini presidente del Circolo Legambiente “Dai Colli all’Adige” di Este
Este, 9 aprile 2011