Participio futuro: da trent’anni per continuare a cambiare
Energia, rifiuti, balneazione, biodiversità: Legambiente festeggia il suo compleanno
e presenta Ricomincio da trenta,
il libro sulle sfide e le buone idee per il futuro dell’Italia
e il dossier “Qualcosa è cambiato. Dal 1980 al 2010, trent’anni vissuti ecologicamente”
Lo stop al nucleare, l’abbattimento degli ecomostri, la lotta allo smog e alle fabbriche killer, l’affermarsi della green economy e delle energie alternative, la difesa dell’agricoltura tradizionale, la mobilità sostenibile, il rapporto tra la scuola e il territorio. Sono queste solo alcune delle tappe più significative della storia di Legambiente, conquistate nel corso dei trent’anni dell’associazione che oggi ha spento la sua trentesima candelina.
A celebrare l’anniversario questa mattina insieme ai volontari dell’associazione erano presenti Rossella Muroni e Vittorio Cogliati Dezza, rispettivamente direttrice generale e presidente nazionale di Legambiente, che nel corso del convegno “Participio futuro, da trent’anni per continuare a cambiare” hanno ripercorso l’evoluzione dell’ambientalismo negli ultimi trent’anni in Italia. Un’occasione per tracciare un bilancio dei suoi effetti innovativi nella società, mettendo a confronto i fondatori del pensiero ecologista in Italia con i trentenni di oggi. In trent’anni, infatti, Legambiente ha contaminato la società con argomenti, proposte, esperienze, stili di vita, ma in questo arco di tempo il Paese è cambiato moltissimo e insieme a lui anche la percezione dell’ambientalismo. Una storia raccontata anche nel libro di Legambiente “Ricomincio da trenta”, presentato questa mattina nel corso del convegno in cui con testimonianze e fotografie si ripercorre l’evoluzione dell’associazione in parallelo a quella del Paese, in una sorta di album di famiglia che racconta i principali appuntamenti con la storia in chiave ambientalista.
“Ripercorrendo le tappe più significative della nostra storia, sono evidenti le conquiste legislative, i cambiamenti culturali e degli stili di vita a favore della tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini – ha dichiarato Vittorio Cogliati Dezza -. Questo legittimo orgoglio però non ci farà abbassare la guardia: dai cambiamenti climatici alla propaganda nucleare, le questioni ambientali sono quanto mai all’ordine del giorno e sempre più in cima alla lista delle priorità dei governi. E’ per questo che abbiamo voluto avviare un confronto, anche generazionale, con chi inciderà nell’agire sociale dei prossimi decenni per delineare le nuove strategie e rispondere alle future sfide che attendono il Paese, nella speranza, e con l’obiettivo, che tra trent’anni i cambiamenti in meglio siano ancora molti di più. Perché l’ambientalismo è la ricetta giusta per rendere più moderno, più giusto e più bello il nostro paese”.
“Abbiamo saputo dimostrare che investire nella salvaguardia dell’ambiente e della salute può costituire una grande opportunità per le future generazioni e per l’innovazione del nostro Paese – ha dichiarato Rossella Muroni -. Gran parte dei risultati ottenuti sono stati possibili grazie alla partecipazione volontaria di centinaia di migliaia di persone che in tante occasioni abbiamo incontrato nelle piazze e che hanno collaborato con noi. Ad oggi sono circa 1000 i circoli del Cigno che ci permettono di essere l’associazione ambientalista più diffusa in Italia col privilegio di essere presenti capillarmente su tutto il territorio nazionale, lì dove i fatti avvengono e le persone operano, mettendo in pratica valori e ideali”.
1980 – 2010, trent’anni, che dal punto di vista ambientale, mostrano principalmente due facce, una statica e una dinamica. In Italia si riaffaccia oggi lo stesso nucleare bocciato negli anni 80, la mobilità è sempre immobile, speculazione edilizia, abusivismo e consumo di suolo accelerano e rallentano a seconda del vento che tira nel Paese, la criminalità organizzata si è impossessata della gestione di una parte consistente dei business ambientali.
Contemporaneamente, però, nel nostro Paese si stanno diffondendo le energie rinnovabili, il territorio protetto è ormai prossimo al 20%, le piste ciclabile urbane sono passate dai 3 chilometri del 1980 agli attuali 2.850, la raccolta differenziata ha superato quota 30%, i consumi di cibi biologici sono in crescita, la green economy è una realtà del mercato globale. Insomma, qualcosa è cambiato e questo qualcosa deve essere la base di una nuova sfida per un Paese (un Mondo) più sano, più attento ai diritti, più vivibile, più moderno, più competitivo. In quest’ottica, abbiamo provato a sintetizzare cosa è successo in questi anni e quali sono le proposte possibili per il futuro in alcuni settori chiave: energia, rifiuti, città, natura, legalità, mare.
Energia. L’Italia degli anni 80 era un Paese dove l’energia si identificava sostanzialmente con il petrolio e a salvarci da una totale dipendenza dall’estero era solo la storica produzione da idroelettrico e geotermia. Oggi l’Italia è in una situazione più articolata. I segnali positivi vengono soprattutto dalle nuove fonti rinnovabili (solare fotovoltaico e termico, eolico, mini-idro, geotermia, biomasse) che stanno vivendo una stagione di sviluppo impensabile solo 5 anni fa e con risultati di produzione (oltre il 31% della produzione di energia elettrica nel 2009) che lasciano ben sperare. Ma quale Italia possiamo immaginare tra 30 anni? E’ possibile sognare un Paese che esca progressivamente dal petrolio, faccia a meno del carbone, lasci il nucleare fuori dai confini? Sì, oggi ci sono le condizioni per lanciare una grande sfida di innovazione, che guarda a un modello di generazione distribuita incentrato su impianti efficienti e fonti rinnovabili.
Rifiuti. Trent’anni fa la discarica era sostanzialmente l’unica modalità di smaltimento. Molte Regioni meridionali tuttora smaltiscono la maggior parte dei propri rifiuti in discariche. Ma se la discarica è l’unico impianto utilizzabile per gestire i rifiuti, l’emergenza è sempre dietro l’angolo. Eppure oggi le migliori esperienze di raccolta differenziata cominciarono a diffondersi nelle regioni centrali e poi, anche se in maniera piuttosto episodica, in alcune regioni meridionali come la Puglia o la Campania. Le raccolte differenziate secco/umido vengono praticate in quasi duemila comuni e ben 1.280 Comuni hanno superato nel 2008 il 45% di raccolta differenziata, anche se c’è evidente disparità tra le diverse aree geografiche: 1.112 sono al Nord, 41 al Centro e 127 al Sud. Per il futuro due sono le questioni irrisolte. La prima è un’emergenza con gravissimi risvolti sotto il punto di vista ambientale e sanitario, legata agli smaltimenti illegali di rifiuti speciali. La seconda è relativa alla crescita della produzione dei rifiuti urbani, aumentata del 12% dal 2000 al 2006. La soluzione? Aumentare il costo dello smaltimento in discarica; diffondere le raccolte differenziate domiciliari; completare la rete impiantistica per il recupero e il trattamento dei rifiuti; avviare la redazione del Programma nazionale di prevenzione; attuare il passaggio tassa/tariffa previsto dal 1997; chiudere la stagione dei commissariamenti; introdurre i delitti ambientali nel codice penale e istituire un fondo per le bonifiche dei siti orfani.
Mobilità urbana. Dalla nascita delle prime aree pedonali, dagli embrioni di reti di monitoraggio dello smog, dai timidi abbozzi di limitazione del traffico sono trascorsi appena tre decenni. Oggi tutte le città italiane hanno aree riservate ai pedoni e ci sarebbe probabilmente una sommossa popolare se qualcuno tentasse di riportare parcheggi e viabilità motorizzata a Piazza Navona come a Piazza del Plebiscito o a Piazza della Signoria. Oggi ogni cittadino ha a disposizione 0,34 metri quadrati di isole pedonali e 3 metri quadrati di zone a traffico limitato (nel 1980 in entrambi i casi il valore era fermo a zero). I chilometri urbani di piste ciclabili sono 2.850. Il trasporto urbano su ferro è invece rimasto statico (a fronte di una continua crescita della domanda), il tasso di motorizzazione è raddoppiato, ed è cresciuto il consumo di suolo. Per il futuro non c’è amministrazione locale che non abbia messo ai primi punti del suo programma la gestione della mobilità urbana e la risoluzione dell’emergenza traffico. Tuttavia non c’è sindaco che pensi di poter sciogliere i nodi della mobilità senza cospicui finanziamenti e senza un programma di infrastrutture pesanti. Eppure, la partita per una mobilità più spedita e più sostenibile si può giocare non solo non spendendo soldi, ma addirittura incamerandone, come ha fatto Londra con il Road Pricing. Nell’immediato (e quasi a costo zero) i comuni dovrebbero realizzare percorsi in sede protetta per i mezzi pubblici su tutte le vie di accesso alla città. Fondamentale è una maggiore attenzione ai pendolari, aumentando il numero dei convogli ferroviari che collegano i paesi limitrofi alle città capoluogo. Non ultimo, potrebbe avere un grande valore anche il rispetto del codice della strada.
Aree protette. In principio c’erano il Parco Nazionale del Gran Paradiso, quello d’Abruzzo e poco altro. Poi negli anni 90 si è aperta una stagione eroica che, sulla scia dell’approvazione della legge quadro sulle aree protette, ha permesso la svolta espansiva. In meno di venti anni l’Italia, con una percentuale doppia rispetto alla media europea è diventata una delle nazioni leader del Continente per superficie protetta passando dal 3 al 10%. Siamo tra i Paesi che custodiscono la gran parte della biodiversità del continente europeo: circa 57.000 specie animali (pari ad 1/3 di quelle europee) e 5.600 specie floristiche (il 50% di quelle europee) delle quali il 13,5% sono specie endemiche e con una notevole diversità di ambienti e paesaggi. Questo patrimonio è, tuttavia, seriamente minacciato. Dai dati della Red List della IUCN risulta che su 47.677 specie ben 17.291 (il 36%) sono a rischio, mentre sono 875 (il 2%) le specie estinte o estinte allo stato selvaggio in natura. Sono inoltre minacciati il 21% dei mammiferi, il 30% degli anfibi, il 12% degli uccelli, il 28% dei rettili, il 37% dei pesci d’acqua dolce, il 70% delle piante, il 35% degli invertebrati. Questa perdita di biodiversità deve essere fermata per interesse naturalistico, ma anche per evitare rischi per la nostra stessa sopravvivenza. Nell’immediato futuro è fondamentale convocare la Terza Conferenza delle aree protette.
Mare. Il decreto sulla qualità delle acque di balneazione è del 1982 e solo da quel momento le Regioni furono obbligate ad effettuare prelievi e analisi e darne informazione durante la stagione balenare. Ma il divieto di scarico dei fanghi tossici in mare arrivò solo nell’agosto 1988. Oggi il nodo da affrontare è la nuova direttiva europea in materia di acque di balneazione, tarata su una impostazione nord europea. Il nostro Paese stavolta nell’approvare la nuova legge, ha approfittato dell’opportunità per rendere molto più permissivi i canoni che determinano la balneabilità. Questo passo indietro normativo si aggiunge a un deficit storico dell’Italia in tema di depurazione delle acque reflue: il settimo Paese più industrializzato scarica ancora in mare (o nei laghi e nei fiumi) il 30% delle acque di fogna senza alcun trattamento, equivalenti ai liquami di ben 18 milioni di italiani (deficit che ha fatto scattare la procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia). Nell’immediato serve dunque un intervento impiantistico e normativo per ristabilire quel primato europeo in fatto di controlli sulle acque derivante dalla vecchia legge. Ma ancora vanno istituite tutte le aree marine protette previste dalle normative vigenti e va portato a termine l’iter legislativo per armonizzare la normativa sulle aree marine protette con quella sulle aree protette terrestri. Va infine avviata un’azione infrastrutturale soft per aumentare la disponibilità di posti barca a cemento zero. Secondo uno studio condotto da Ucina in collaborazione con Legambiente sarebbero 39.000 i posti barca che sarebbe possibile ricavare nei bacini già oggi esistenti senza buttare in acqua un metro cubo di cemento.
Ecomafie. Oggi sembra quasi una banalità: le mafie hanno un ruolo diretto e rilevante nei peggiori fenomeni di degrado ambientale del nostro Paese, dai traffici illegali di rifiuti all’abusivismo edilizio. Ma fino al 1994 l’abusivismo edilizio era di necessità e veniva presentato come la risposta al bisogno della casa. Il business criminale, infatti, viene svelato a metà anni ‘90 e da allora l’attenzione verso l’ecomafia e la consapevolezza della gravità dei suoi traffici è sicuramente cresciuta. A indagare sono tutte le forze di polizia giudiziaria; il Parlamento dedica, dal 1995, un’attenzione specifica ai traffici illegali di rifiuti con una Commissione d’inchiesta; la Procura nazionale antimafia svolge un ruolo importante di coordinamento delle indagini. Nel tempo cresce il numero dei reati accertati, delle persone denunciate e arrestate. La cultura, dall’editoria al cinema ai fumetti, è in prima fila nell’attività di sensibilizzazione soprattutto dei giovani. Ma le buone notizie, con l’aggiunta della demolizione di ecomostri storici (dal Fuenti a Punta Perotti) finiscono qui. Non sono stati introdotti ancora i delitti contro l’ambiente nel nostro Codice penale; c’è chi vorrebbe riaprire i termini del condono edilizio approvato nel 2003 e in Campania, prima regione per numero di reati contro l’ambiente, è già accaduto; resta fitto il mistero delle navi dei veleni, quasi nulla è stato fatto per quanto riguarda le bonifiche delle terre inquinate dallo smaltimento illegale di rifiuti. L’Italia che combatte l’ecomafia in questi anni è sicuramente cresciuta, insomma, ma la strada da fare per la concreta affermazione della legalità è ancora davvero molta.
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