Campagna Biometano Agricolo Fatto Bene – Per il Veneto Rinnovabile
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Per Legambiente, il concetto di “Biometano fatto bene” rappresenta una visione concreta di sostenibilità e innovazione, che riconosce il potenziale di questa risorsa energetica rinnovabile a patto che venga prodotta rispettando criteri ambientali, tecnici e sociali ben definiti. La produzione di biometano, infatti, può giocare un ruolo fondamentale nella transizione ecologica, ma solo se gestita in modo responsabile. Questo significa valorizzare materiali organici di scarto, come residui agroalimentari e deiezioni animali, evitando il ricorso a colture di primo raccolto che rischierebbero di sottrarre terreno alla produzione alimentare o di compromettere gli equilibri ecologici.
Il biometano, quando prodotto in modo sostenibile, contribuisce a ridurre l’inquinamento atmosferico grazie alla sua capacità di abbattere le emissioni di gas serra rispetto ai combustibili fossili. Inoltre, favorisce la riduzione della dipendenza energetica da risorse non rinnovabili, promuovendo un modello circolare che trasforma gli scarti organici in opportunità. Tuttavia, Legambiente sottolinea che questo processo deve essere rigorosamente controllato. Gli impianti di digestione anaerobica devono rispettare standard tecnici avanzati per garantire che non vi siano impatti negativi sull’ambiente e sulla salute dei cittadini.
Un aspetto centrale della campagna “Biometano fatto bene” è l’educazione e la sensibilizzazione, fornendo strumenti e informazioni corrette e scientificamente attendibili ai cittadini ed alle amministrazioni pubbliche, per contrastare le fake news, i pregiudizi e la disinformazione che spesso emerge nel dibattito che riguarda la tecnologia della digestione anaerobica della materia organica per la produzione di biogas e biometano. La complessità tecnologica di questi sistemi può generare incertezze, ma un’adeguata informazione è fondamentale per riconoscere il valore del biometano come risorsa chiave per un futuro sostenibile.
In Veneto, questa visione si traduce in una concreta opportunità per sviluppare un’economia locale più verde e resiliente, in grado di creare nuovi posti di lavoro e di migliorare la gestione degli scarti organici. Il biometano “fatto bene”, per Legambiente, non è solo una soluzione energetica, ma anche un modello di innovazione sostenibile che integra tecnologia, rispetto per l’ambiente e attenzione alle comunità locali.
Di seguito i sette punti che sintetizzano gli elementi cardine da cui partire per definire un impianto di biometano fatto bene.
Cosa significa “Biometano fatto Bene”?
Il vademecum di Legambiente: quali sono secondo l’associazione le caratteristiche e le condizioni necessarie per considerare un impianto di Biometano agricolo fatto bene.
1. L’importanza della dieta, cioè con cosa alimentiamo un impianto “fatto bene”?
La produzione di biometano attraverso la digestione anaerobica è un processo utile in quanto valorizza gli scarti organici, che altrimenti rimarrebbero dispersi in ambiente, catturando la CO2, riducendo le emissioni odorigene, riducendo l’inquinamento in atmosfera e producendo sottoprodotti utili alla fertilità della terra.
Quindi gli impianti agricoli, oltre che a produrre biometano, devono essere in grado di “alimentarsi” con gli scarti e i sottoprodotti che altrimenti andrebbero ad impattare fortemente sull’ecosistema umano e naturale. Ecco perché è importante parlare di “dieta fatta bene”, che deve essere composta da residui dell’agroindustria, sottoprodotti, secondi raccolti e scarti organici ma che non deve contenere prodotti agricoli coltivati ad hoc.
Ecco una breve lista della buona dieta:
Scarti della produzione agricola: materie fecali come reflui degli allevamenti animali, i materiali vegetali residui di coltivazione, sfalci e potature, secondi e terzi raccolti.
Residui organici: scarti organici, sottoprodotti delle aziende agricole e agro industriali, sottoprodotti derivanti dalla trasformazione industriale delle produzioni vegetali e animali.
Detto che un impianto “fatto bene” può divenire un formidabile strumento per smaltire in modo adeguato sia gli scarti agricoli che le deiezioni animali evitando in tal modo tutte le problematiche connesse con i processi di inquinamento di aria acqua e suolo, è importante fare i conti con la disponibilità esistente di materia senza incentivare l’aumento delle coltivazioni dedicate, che vanno evitate assolutamente, e soprattutto dei capi allevati in maniera intensiva dal settore zootecnico, verso il quale restano irrinunciabili incisivi sforzi di ristrutturazione del settore volti a ridurne il carico e a qualificarne le produzioni.
2. Il contesto in cui sorge l’impianto
Una rilevanza fondamentale è data dalla localizzazione dell’impianto. Risulta evidente quanto una distanza maggiormente ridotta di approvvigionamento della materia (e di redistribuzione del digestato) renda più efficiente e meno impattante l’attività nel suo complesso. Per questo gli impianti dovranno insistere in un’area dove esistano gli scarti e i sottoprodotti nell’arco di pochi chilometri, in quantità adeguate alla capacità di gestione dell’impianto stesso ed in un territorio che possa ricevere le quantità di digestato prodotte. Le quantità presenti e ricevibili dal territorio sono quelle che devono definire la taglia dell’impianto e non viceversa (cioè la taglia è definita dal territorio e non è la dimensione dell’impianto che definisce l’ampiezza del raggio di azione). In ragione di queste considerazioni, per Legambiente gli impianti di biometano collocati su aree agricole si possono accettare e ritenere “fatti bene” solo se progettati in stretto rapporto con l’agricoltura. Lo stretto rapporto con l’agricoltura presuppone che il materiale trattato provenga per più della metà da aziende agricole che si trovino ad una distanza massima di 15-20 km. Le fonti dei materiali restanti devono trovarsi entro una distanza massima di 50 km. Distanze più elevate possono essere prese in considerazione solo se la materia in ingresso è connotata da così elevate prestazioni energetiche tali da ridurre considerevolmente i viaggi verso l’impianto.
Legambiente auspica che attorno all’impianto si creino realtà consortili di allevatori e agricoltori, in modo da poter gestire la materia organica in modo armonioso, collaborativo ed efficiente. Dove possibile, si auspica l’utilizzo di spazi già cementificati o vecchi impianti, per evitare il consumo di suolo ed ulteriori cementificazioni.
3. Collaborazione con il territorio
Nel momento dell’ideazione, della progettazione e della localizzazione di un nuovo impianto è essenziale interagire con il territorio e la comunità che lo ospiterà, garantendo partecipazione e trasparenza sulla tecnologia utilizzata e la strategia di gestione. La partecipazione è di fondamentale importanza per comprendere quali benefici l’impianto può dare alla comunità e come questo si possa integrare nel territorio, per questo un impianto fatto bene deve essere accompagnato da percorsi di informazione e di conoscenza per la cittadinanza e di educazione ambientale e sensibilizzazione verso le nuove generazioni.
Proprio per la trasparenza e l’accesso pubblico a tutte le informazioni, Legambiente auspica la creazione e l’attivazione da parte dei gestori dell’impianto di organismi volontari di controllo e confronto col territorio, che vedano i cittadini e le amministrazioni locali coinvolte, partecipi e proattive nel verificare il funzionamento dell’impianto e delle matrici trattate, allo scopo di proporre eventuali migliorie sugli impatti che questo potrebbe avere in fase di esercizio.
4. La corretta gestione e manutenzione dell’impianto
L’impianto deve garantire azioni utili alla prevenzione e riduzione di emissioni odorigene spiacevoli.
Vasche coperte e spazi chiusi dotati di filtri o camere stagne per lo stoccaggio delle deiezioni e scarti conferiti. Pulizia dei mezzi in entrata e uscita, pulizia di piazzali e spazi all’aperto dell’impianto. Così, tutto il materiale organico, quello che effettivamente può essere maleodorante, viene eliminato. Devono prevedere il recupero e autoconsumo in sito dell’energia termica.
Va da sè che è nell’interesse dei proponenti mantenere livelli performanti di efficienza dell’impianto minimizzando i rischi di perdite o di malfunzionamento visto anche che il controllo su tali impianti è definito da un apposito decreto (DM. 31 gennaio 2014 – c.d. Decreto Controlli) che prevede attività di accertamento e riscontro, volta alla verifica della sussistenza ovvero della permanenza dei presupposti per l’erogazione degli incentivi, con particolare riguardo alla fonte utilizzata, all’entrata in esercizio, alla conformità ed al corretto funzionamento di componenti, apparecchiature, opere connesse e altre infrastrutture degli impianti e alla veridicità delle informazioni contenute in atti, documenti, attestazioni, comunicazioni e dichiarazioni forniti dal titolare dell’impianto. Gli impianti che producono biometano, per poter accedere agli incentivi, sin dal loro avvio devono dimostrare che ogni lotto di biometano prodotto ed immesso garantisca la percentuale minima richiesta di riduzione di GHG. Ciò significa essere in grado di calcolare, sulla base della dieta di quel mese e di altre caratteristiche specifiche dell’impianto, quante emissioni vengono risparmiate rispetto a quelle che verrebbero generate producendo lo stesso quantitativo di combustibile di origine fossile. Per poter dimostrare questo risparmio è necessario produrre un “certificato di sostenibilità” del lotto di biometano, ma per essere autorizzati a produrre tale certificato è necessario che l’azienda abbia ottenuto un “certificato di conformità aziendale” rilasciato da un Organismo di Certificazione accreditato.
5. La distribuzione del digestato Fatto Bene
Il digestato (liquido e solido) rappresenta una delle matrici di uscita dagli impianti di digestione anaerobica. L’effluente zootecnico digerito risulta decisamente meno odoroso del letame e del liquame tal quale. Una volta stoccato deve essere poi distribuito e gestito in modo opportuno secondo una pianificazione agronomica sostenibile. Può essere riutilizzato in agricoltura, restituendo sostanza organica ai suoli e permettendo la riduzione dell’uso di fertilizzanti chimici. L’utilizzo agronomico del digestato e delle sue frazioni è molto importante per arricchire il terreno molto spesso povero di sostanza organica, ma è necessario che venga distribuito nei campi, nei periodi consentiti (vedi direttiva Nitrati) di massima efficienza agronomica e in fase vegetativa, così che i nutrienti vengano assorbiti dalle radici delle piante garantendo un bilancio carbon – negative. Molto importante è che i digestato venga distribuito attraverso sistemi che prevedono l’interramento o le iniezioni nel suolo e non lo spargimento superficiale, rispettando quanto riportato nel Piano di Utilizzo Agronomico (PUA) che ogni azienda agricola deve avere, tenendo conto della tipologia dell’area di distribuzione delle colture, regolamentando le quantità effettivamente utilizzabili.
Ai dubbi legati allo sviluppo di batteri patogeni nel digestato, la letteratura scientifica ha risposto ad oggi in modo concorde ritenendo che il processo di digestione anaerobica abbatta il contenuto della maggior parte dei batteri nocivi per l’uomo.
6. Estrazione della CO2 e dell’Azoto
Un impianto “fatto bene” dovrebbe prevedere il recupero e l’estrazione dell’anidride carbonica attraverso il processo di upgrading. Recuperarla consente di ridurre l’impronta ambientale della produzione del biometano e di risolvere una delle principali criticità, cioè l’emissione di CO2 nell’atmosfera. La rimozione dell’anidride carbonica rende il biogas un combustibile migliore. La CO2 recuperata può essere riutilizzata per usi industriali, nel food & beverage e in sostituzione dei gas refrigeranti ad alto potere climalterante.
Anche l’estrazione dell’azoto presente nelle biomasse in ingresso è una soluzione da implementare negli impianti “fatti bene” poiché esso può essere convertito in solfato o fosfato di ammonio da impiegare come fertilizzanti in sostituzione dei prodotti dell’industria della chimica. Così la concentrazione di azoto nel digestato può essere contenuta a valori minimi, determinando la necessità di una superficie di spandimento molto inferiore, rendendo questa pratica agronomica molto meno impattante grazie alle minori emissioni dovute ai trasporti e all’assenza di potenziali dispersioni di ammoniaca in atmosfera, oltre che la completa assenza di cattivi odori, rendendo il digestato di più facile utilizzo agronomico.
7. Ricerca, Sviluppo e BAT ( Migliori Tecnologie Disponibili)
Ogni impianto dovrà investire su ricerca ed innovazione per garantire performance tecnologiche di qualità, incrementare la sostenibilità ambientale al fine di ridurre le emissioni inquinanti, ottimizzare l’uso delle materie prime riducendolo al minimo e promuovere l’economia circolare attraverso la massimizzazione del riutilizzo delle materie prime seconde.
Il miglioramento costantemente delle tecnologie significa non solo aumentare l’efficienza e la produttività, ma anche garantire la massima qualità dei processi e dei prodotti. Le Migliori Tecnologie Disponibili (BAT) definiscono gli standard più avanzati per minimizzare l’impatto ambientale di un impianto, offrendo soluzioni concrete per: ridurre le emissioni con le tecnologie più efficaci per abbattere le emissioni di sostanze inquinanti in aria, acqua e suolo; ottimizzare l’uso delle risorse con l’utilizzo efficiente delle materie prime, dell’energia e dell’acqua, riducendo gli sprechi e l’impatto ambientale complessivo; gestire gli scarti con soluzioni responsabili per la distribuzione del digestato a basso impatto energetico ed ambientale.
L’adozione delle BAT non è solo un obbligo normativo, ma un vero e proprio investimento nel futuro. Le aziende che abbracciano l’innovazione e la sostenibilità sono destinate a essere più competitive, attrattive e resilienti agli occhi dei consumatori e degli investitori.
GLOSSARIO DEL BIOMETANO AGRICOLO FATTO BENE
BIOGAS Gas naturale che deriva dalla digestione anaerobica all’interno di appositi impianti. È una miscela formata per la maggior parte da metano (CH4) e anidride carbonica (CO2); il residuo è il digestato, un materiale ricco di azoto, fosforo e potassio.
BIOMETANO Gas ottenuto purificando il biogas grezzo ed eseguendo l’upgrading. Con apposito processo di raffreddamento lo si può portare allo stato liquido per facilitarne il trasporto. Il biometano ha qualità analoga al metano da fonte fossile. Può essere perciò utilizzato come carburante per l’autotrazione, immesso nella rete di distribuzione o impiegato per produrre energia termica ed elettrica.
DIGESTATO Ottimo fertilizzante ricco di azoto e fosforo, disponibile sia in forma liquida che sotto forma di terriccio. È un prodotto organico della digestione anaerobica.
DIGESTIONE ANAEROBICA Processo biologico di degradazione organica che avviene in assenza di ossigeno in un ambiente caldo e chiuso. Questo processo avviene grazie ai batteri naturalmente presenti che degradano la sostanza organica (biomassa) e producono gas. Questo gas è composto da metano, anidride carbonica e, in minime quantità, idrogeno e azoto.
DIGESTORE È il cuore dell’impianto che produce biogas. Dentro questi “cupoloni” avviene infatti la digestione anaerobica, in assenza d’aria e a temperatura costante.
EMISSIONI ZERO Il raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento del carbonio (situazione “carbon neutral”).
SECONDO RACCOLTO I secondi raccolti riguardano colture, come il triticale prima della soia o il sorgo dopo il frumento, che sono successive rispetto alla coltura principale destinata all’alimentazione umana e animale. Si utilizza cioè il terreno in un periodo dell’anno in cui esso non è coltivato. Il secondo raccolto, avendo una coltura attiva, garantisce l’utilizzo continuo delle risorse del suolo e perciò evita che l’azoto e gli altri nutrienti finiscano nelle falde e nei fiumi.
UPGRADING Purificazione del biogas per ottenere biometano. Questo processo sottrae al biogas l’anidride carbonica, che può essere catturata e utilizzata per fini industriali e alimentari (bibite gassate).
FAKE NEWS
Gli impianti di biogas e biometano inquinano. FALSO!
I processi di digestione anaerobica, non solo non inquinano, ma riducono del 90% le emissioni di CO2, metano, azoto e ammoniaca rispetto all’abituale stoccaggio di effluenti zootecnici in vasche aperte. Gli impianti di digestione anaerobica aiutano ad abbattere le polveri sottili, di cui l’ammoniaca è precursore.
La produzione di biogas produce puzze. FALSO!
La lavorazione della materia prima, svolgendosi al coperto in vasche di stoccaggio e digestori, non emette odori sgradevoli. Il digestato ottenuto, sia liquido che solido, ha un potenziale odorigeno di molto inferiore ai liquami e letami da cui viene ricavato. Il processo per produrlo abbatte infatti di oltre il 90% le sostanze responsabili della “puzze” che sono proprie della materia non trattata.
Gli impianti di biometano usano mais e altre colture nobili. FALSO!
Gli impianti di “biometano fatto bene” utilizzano deiezioni di animali da allevamento, scarti della produzione agro-industriale e prodotti agricoli provenienti dai secondi raccolti (cioè raccolti aggiuntivi che nulla tolgono all’alimentazione umana e degli animali).
Gli impianti di digestione producono batteri, in particolare quelli che provocano botulismo e tetano. FALSO!
Tutti gli studi scientifici mostrano che la digestione anaerobica non incrementa la flora batterica rispetto al refluo non trattato. La letteratura scientifica è ampiamente concorde nel ritenere che il processo di digestione anaerobica abbatte il contenuto della maggior parte dei batteri nocivi per l’uomo.
Il digestato inquina le falde. FALSO!
Il digestato è un fertilizzante organico ottenuto mediante un processo naturale, lo stesso che avviene nello stomaco dei bovini. La sua qualità lo rende una valida alternativa ai prodotti chimici sui campi. Il digestato preserva la falda anche sotto un altro aspetto: il trattamento di digestione anaerobica elimina quelle sostanze – ammoniaca, nitrati – che in concentrazione eccessiva sono nocive per le falde acquifere.
La campagna Biometano Fatto Bene è sostenuta da FemoGas, impresa veneta in prima linea a livello nazionale sul fronte della sostenibilità. FemoGas produce fertilizzante organico e carburanti non fossili, entrambi ottenuti esclusivamente da reflui zootecnici, scarti agricoli e secondi raccolti. L’azienda è impegnata nella divulgazione, anche con le scuole, di temi legati all’economia circolare e alla transizione ecologica; per questo organizza annualmente il Festival del Biometano.
Fonti
Position Paper Legambiente nazionale sul Biometano
CIB (Consorzio Italiano Biogas)
Per approfondire il tema dell’agricoltura sostenibile Farming For Future