No al carbone a Porto Tolle
Tutti i numeri e i motivi del ‘NO’ nel dossier ‘Carbone:ritorno al passato’
Una centrale tutta nuova a Saline Joniche in provincia di Reggio Calabria e la riconversione della centrale di Rossano Calabro per i gruppi alimentati a olio combustibile. Sono le ultime due proposte di ‘ritorno al passato’ fondate sul carbone che l’Italia potrebbe vedere realizzate dopo la riconversione, già attuata, della centrale di Civitavecchia (Rm), il nuovo gruppo autorizzato di Fiume Santo in Sardegna e i progetti su Porto Tolle (Ro) sul delta del Po e Vado Ligure (Sv) sui quali manca solo la firma del decreto autorizzativo da parte del Ministro dello Sviluppo economico.
- PORTO TOLLE, A CHE PUNTO SIAMO?
Il percorso per la riconversione a carbone della centrale di Porto Tolle, purtroppo, ha fatto un brusco passo in avanti nel 2010. Il 20 marzo 2010 la Regione Veneto e l’Enel hanno sottoscritto l’accordo di programma per la riconversione a carbone. L’intesa comprende anche una serie di finanziamenti per diversi milioni di euro tra compensazioni ambientali, la costruzione di un osservatorio e risarcimento dei disagi provenienti dalla costruzione e dal funzionamento della centrale.
Il 1 luglio 2010 è arrivato il via libera al progetto da parte della Conferenza dei servizi presso il Ministero per lo sviluppo economico, a cui sarebbe dovuta seguire, a stretto giro, la firma del ministro sul decreto autorizzativo, che però ancora non c’è stata, come ha dichiarato la stessa Enel in un incontro pubblico di fine novembre.
Intanto il 14 ottobre 2010 il Tar del Lazio ha respinto il ricorso presentato da associazioni ambientaliste e di categoria di pescatori e operatori turistici. Una decisione che, come riportato nel testo, smentisce che la conversione a carbone della centrale, con tutte le infrastrutture necessarie a tale intervento, porti a delle conseguenze negative al territorio del delta e all’ambiente, con grande soddisfazione di Enel e della Regione Veneto, contro il parere delle realtà locali. Una sentenza che risulta ampiamente impugnabile avendo disatteso, sulla base di motivazioni omissive ed illogiche, quasi tutte le censure formulate.
Resta ancora sospeso il ricorso presentato da Legambiente al Capo dello Stato e che il Quirinale aveva indirizzato al Tar del Lazio, che, a sua volta, dopo la richiesta di accorpare tale procedimento a quello già presente, ha ritenuto di non doverli riunire. A tutt’oggi il ricorso di Legambiente non è stato ancora discusso.
Infine, fortunatamente, si è persa ogni traccia dell’ispezione voluta sulla spinta di rappresentanti politici nazionali, nell’autunno del 2009, alla Procura di Rovigo da parte del Ministero della giustizia.
“Le aziende energetiche – spiega Michele Bertucco Presidente di Legambiente Veneto – continuano a puntare sul carbone come fonte per la produzione elettrica, grazie alla politica di sostegno da parte del Governo, incurante dei problemi legati all’uso di questo combustibile, a partire dalle rilevantissime emissioni di gas serra, tangibili negli impianti che già oggi lo usano sul territorio italiano. L’utilità del carbone – aggiunge Bertucco – è una pura propaganda da ‘Paese delle meraviglie’ che nulla a che fare con la realtà e con l’Italia, alle prese con i suoi problemi energetici e con i ritardi rispetto agli obblighi internazionali per combattere l’aumento dell’effetto serra”.
Legambiente ricorda, infatti, che nel 2009 le 12 centrali a carbone attive in Italia, a fronte di una produzione di solo il 13% di elettricità, hanno emesso il 30% dell’anidride carbonica prodotta complessivamente dal settore termoelettrico, circa 36 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 sul totale di circa 122, risultando il settore industriale peggiore rispetto agli obblighi di riduzione previsti da Kyoto.
Anche nel 2009 il peggior impianto termoelettrico per emissioni di CO2 si conferma la centrale Enel di Brindisi Sud (13 Mt), a seguire l’impianto di Fusina (Ve) (4,3 Mt) e quello di Fiume Santo (Ss) di proprietà di E.On (4,1 Mt).
“Sul carbone in Italia – conclude Bertucco – si continua a millantare e a omettere tutti i problemi connessi al suo uso. Il Governo dica chiaramente se vuole condannare gli italiani al pagamento di pesanti sanzioni che nessuno ci condonerà. Altrimenti, replichi il modello britannico vincolando da subito l’autorizzazione di nuovi progetti a carbone all’effettiva operatività della cattura e del confinamento geologico dell’anidride carbonica”.
Per modernizzare realmente il sistema energetico del Paese, secondo Legambiente è necessario coinvolgere il settore industriale, dei trasporti e dell’edilizia, riducendo i consumi e praticando la via più sostenibile per produrre l’energia elettrica e termica: le fonti rinnovabili. La fonte fossile di transizione verso le sole rinnovabili resta il gas naturale, anche alla luce dei costi più contenuti di oggi, inaspettati fino a qualche anno fa.
I motivi di Legambiente per dire NO al carbone:
peggiorerà la dipendenza energetica del nostro Paese dall’estero, visto che già oggi importiamo più del 99% del carbone utilizzato nelle centrali elettriche italiane;
non abbasserà la bolletta energetica del Paese. I potenziali risparmi nell’acquisto del combustibile andranno a beneficio dei bilanci delle aziende energetiche e non arriveranno nelle bollette degli italiani;
il suo impiego peserà sulle casse dello Stato, visto che ci farà condannare al pagamento delle multe di Kyoto e del 20-20-20.
I falsi miti sul carbone:
a causa dei consumi sempre più importanti da parte dei paesi con economie emergenti, a partire da Cina e India, le riserve di carbone stanno diminuendo con tassi davvero inaspettati. Secondo le stime di BP se 10 anni fa la disponibilità residua di carbone rapportata ai tassi di utilizzo era valutata in 240 anni, le ultime cifre aggiornate al 2010 sono scese addirittura a 119 anni. Continuando di questo passo tra 10 anni le riserve residue di carbone diventerebbero equivalenti a quelle di petrolio e gas, esauribili in 50-60 anni;
il basso prezzo del carbone è drogato dai sussidi statali: la Commissione europea ha stimato in circa 3 miliardi di euro all’anno, 2 dei quali solo in Germania, i sussidi pubblici che hanno sostenuto la filiera del carbone tra il 2007 e il 2009 nel vecchio continente, destinati comunque all’esaurimento prima o poi;
anche la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica (CCS – Carbon capture and storage), è ancora una tecnologia tutta da sperimentare su grande scala e anche nella migliore delle ipotesi abbasserà pesantemente il rendimento delle centrali. La tecnologia avrebbe poi una scala industriale solo dopo il 2020.
Rovigo, 11 dicembre 2010